Autorità di polizia locali americane hanno chiesto la rimozione da YouTube di alcuni video che mostravano poliziotti piuttosto violenti. Google risponde “no” e pubblica invece il “Transparecy Report” con qualche commento interessante.
“Sorry... i filmati amatoriali restano su YouTube!”
Duri e puri - La gestione dei filmati di Youtube è per Google piuttosto impegnativa, soprattutto dopo che il portalone video è diventato un punto di riferimento anche per contenuti “delicati” come, per esempio, i filmati amatoriali dove si vedono tecniche poco ortodosse utilizzate dalla polizia per sedare le proteste in manifestazioni come l’occupazione di Wall Street. Varie autorità locali hanno chiesto la rimozione di questi contenuti da Youtube, ma Google sa che cedere troppo facilmente alle richieste significherebbe perdere credibilità agli occhi dei suoi utenti. La risposta è stata quindi molto netta: i video restano dove stanno.
I clic della protesta - Al di là degli aspetti etici o delle questioni di principio, è importante tener conto di un dato: il valore di Youtube sta nei nostri clic, e uno dei filmati incriminati, che vediamo in questa pagina, ha raccolto in un mese più di 38.700 visualizzazioni. La protesta quindi paga, almeno sul web. Per giunta, Youtube non è l’unico servizio che permette di caricare video, c’è anche LiveLeak, per citarne uno. Cosa succederebbe se si venisse a sapere che Youtube non è “libero” e che i suoi contenuti sono censurati?
Dati protetti… ma non troppo - Se i video generano clic, e la loro rimozione sarebbe un palese atto di censura, c’è da dire che, invece, alcune operazioni meno vistose possono tener buone le autorità senza dare eccessivamente nell’occhio. Ecco quindi che Google, così efficiente nel proteggere i contenuti online, sembra piuttosto zelante nel rispondere alle richieste di informazioni personali sui visitatori. Circa 5.950 richieste di questo tipo, provenienti dalle autorità statunitensi, sono infatti state esaudite in modo “completo o parziale”: non sono poche, soprattutto se si considera che l’anno scorso il loro numero si è fissato a quota 4.287. Nel nostro Paese, si legge dal Transparency Report, le richieste di dati sugli utenti sono state 934, delle quali il 60% è stato soddisfatto. (sp)