Love, Sigh, Grr, Wow, Ahah: non sono le onomatopee di personaggi dei fumetti ma le nuove possibilità con le quali, da qualche giorno, possiamo esprimerci su Facebook. Si chiamano "Reactions", e le reazioni che finora hanno suscitato non sono del tutto entusiaste.
Da tempo gli utenti più assidui sul social network lamentavano l'assenza di un pulsante diverso dal "Like", per esprimere allo stesso tempo condivisione di un sentimento ma anche tristezza, disappunto e vicinanza in circostanze come un lutto o la rottura di una relazione. Quei "bottoni" sono arrivati, ma in una forma che fa accaponare la pelle ai linguisti.
A senso unico. Innazitutto, perché riducono il ventaglio di sentimenti di fronte a un post o a una notizia a sole sei possibilità: le cinque citate, più il solito like. Emozioni stereotipate e senza sfumature, perché le "Reazioni" sono accompagnate da una precisazione onomatopeica e non lasciano aperta l'ambiguità che rende gli emoji ironici e funzionali.
Improbabile miscuglio. Poi, perché da un punto di vista puramente grammaticale, i termini scelti per rappresentare queste reazioni sono tutto, fuorché comparabili, e appartengono a categorie sintattiche radicalmente diverse. Love è un nome o un verbo, in inglese; sigh e grr (le traduzioni italiane, rispettivamente di "sad" e "angry") sono onomatopee riferite ad aggettivi; Wow e Ahah sono invece interiezioni, parti invariabili del discorso che esprimono un'emozione ma non ha legami sintattici con il resto della frase.
Riempire gli spazi vuoti. «È come se la sintassi fosse stata buttata fuori dal finestrino e sostituita con i versi che farebbero gli animali» ha commentato senza mezzi termini Geoff Pullum, linguista dell'Università di Edimburgo. Quando Facebook ci chiede di commentare un post con una di queste espressioni, sta chiedendo al nostro cervello di compiere un'operazione più complessa: completare una frase implicita o predicarla, come direbbero i linguisti.
Ma con termini così poco armonici, questa operazione di ricostruzione è particolarmente ardua. Se cliccate su Love il vostro cervello sta pensando "mi piace questa cosa" (non molto diverso dal "Like"). Ma se scegliete grr o sigh, il ragionamento è meno immediato: "questo mi rende triste, mi fa arrabbiare". Per Wow e Ahah il problema non si pone perché, in questo caso, il cervello non riesce a formulare una frase di senso compiuto.
Operazione non casuale. Se l'entusiasmo degli utenti e cultori della lingua è ancora tiepido, c'è però una categoria di persone a cui le "Reactions" andranno decisamente a genio: quella dei pubblicitari, che attraverso le "faccine" avranno un quadro più immediato e completo dell'apprezzamento globale dei contenuti, e potranno scegliere con più accuratezza su cosa investire.
Così Facebook potrà migliorare i servizi per le pagine a pagamento guadagnare più facilmente grazie alla pubblicità. Con buona pace della lingua.