Un nuovo articolo del New York Times riporta Facebook al centro delle polemiche per un presunto utilizzo illecito dei dati dei propri utenti. Secondo l’inchiesta firmata da Gabriel Dance, Nicholas Confessore e Michael la Forgia, Facebook avrebbe firmato accordi con 60 produttori di smartphone, tablet e altri dispositivi consentendo loro di accedere ai dati personali di milioni di utenti e dei loro amici senza un esplicito consenso.
I nomi citati dal NYT sono tutti di aziende di primissimo piano: da Apple ad Amazon, da BlackBerry a Samsung. Mark non ci sta. Secca la reazione del social network, che con un comunicato stampa rimanda le accuse al mittente le accuse.
Quando non c'erano gli app store. Secondo quanto spiega Ime Archibong, dirigente Facebook che si occupa delle partnership, la questione risale a oltre 10 anni fa, quando non esistevano gli app store e i produttori di hardware dovevano sviluppare direttamente le applicazioni da installare sui propri dispositivi.
Per venire incontro a questa esigenza tecnica, Facebook aveva messo a disposizione delle aziende partner un API, cioè uno speciale software che rendeva possibile riportare sugli smartphone l’esperienza di Facebook. All’epoca era una procedura standard, utilizzata non solo da Facebook ma da tutti i big di internet, tra cui Youtube, Twitter, Google.
Facebook: "Non è vero!". Con tutti queste aziende Facebook aveva comunque firmato rigidi accordi di riservatezza e secondo quanto afferma la Archibong non ci sono evidenze di alcuna violazione. La manager smentisce senza mezzi termini le accuse del New York Times, ribadendo che in effetti i partner potevano sì accedere ai dati degli utenti e dei loro amici pubblicati sul social, ma non senza aver prima chiesto loro tutte le necessarie autorizzazioni.
Nello stesso comunicato l’azienda spiega come la massiccia diffusione degli app store, iOS e Android in particolare, abbia comunque reso obsoleta questa tecnologia. Oggi le app sono realizzate direttamente da Facebook che le distribuisce ai propri utenti attraverso gli store: 22 degli accordi stretti con i singoli produttori di hardware sono stati rescissi da tempo perché inutili mentre l’accesso alle vecchie API è in fase di dismissione.