Le differenze tra Paesi e culture si notano in vari aspetti, dalla cucina alle barzellette, dalla lingua al pudore. Anche il modo con cui si scrive un messaggio di posta elettronica non fa eccezione: anche le email obbediscono a una precisa etichetta (netiquette) a seconda della provenienza. Ma dal momento che sono la forma di comunicazione più comune che utilizziamo per interagire con uno straniero (per lavoro, per prenotare un albergo, per gli acquisti online), qualche dritta e curiosità è sempre utile.
1. In Giappone non solo si usano frasi di cortesia, anche via email (come avviene di persona, del resto), ma funzionano e sono apprezzate anche le scuse preventive, come “mi dispiace disturbarvi mentre siete occupati…”.
2. In Germania è consuetudine iniziare un messaggio di posta elettronica con un saluto come “Gentile signor...”, anche se il destinatario è nello stesso ufficio. La conversazione sul lavoro mantiene quasi sempre toni formali e inizia subito dopo il saluto, con la lettera minuscola.
3. In Corea del sud sono apprezzate le email sintetiche e cortesi. E si usa iniziare la missiva rompendo il ghiaccio, con un’osservazione generale sul tempo o la stagione.
4. In Cina non è raro che anche email professionali contengano emoticon, come racconta Porter Erisman, autore di un libro sul gigante dell’ecommerce Alibaba (di cui è stato vicepresidente): «Si usano molto, sia smile sia vere e proprie animazioni».
5. Sempre in Cina, prima di rivolgersi a un interlocutore è bene capire quale sia il suo nome: la regola vuole che il cognome si scriva prima del nome, ma per adattarsi allo stile occidentale alcuni cinesi hanno cominciato a invertirli. Spesso però la poca confidenza con l’onomastica cinese porta noi occidentali a confonderli e a sbagliare l’intestazione dell’email.
6. In Asia si usa poco il "no". Culture assai diverse tra loro, come quella indiana e quella giapponese hanno in comune una certa ritrosìa a rispondere negativamente, anche quando la risposta è proprio "no". Nelle comunicazioni formali il rifiuto è spesso espresso con "sì, ma…", “forse” e persino con un "sì" accompagnato da precisazioni che in realtà lo sconfessano.
In Giappone, soprattutto, il no è poco usato, perché il rifiuto diretto si ritiene potrebbe ferire le persone (c’è anche un termine per dirlo: "meiwaku").
7. Opposto è il caso dell'Olanda. Meglio scrivere: "questo colore non mi piace e va cambiato" in modo chiaro e diretto, perché una formula del tipo "carino, ma che ne pensi di provare con il verde?" significa letteralmente questo. L'interlocutore ci pensa e, se non è convinto, lascia le cose come sono.
9. Nelle Filippine si usano forme verbali passive o attive a seconda dell’interlocutore. Se sta più in alto nella gerarchia sociale, scrivere "il documento le sarà inviato domani", è preferibile a "domani le invierò il documento".
10. E l'Italia? Non fa eccezione. Agli stranieri, per esempio, risulta difficile capire il senso dell’appellativo “dottore”, prima del nome.