Il posto in cui viviamo, lo stato civile, l’età, le preferenze sessuali, le scelte politiche e naturalmente tutti i nostri interessi online e... offline. Sì, anche quella volta che abbiamo lasciato - en passant - il nostro indirizzo mail al ristorante sotto casa, per ricevere le anteprime dei menù. Questo e (tanto) altro può finire nel calderone tecnologico di Facebook ed essere trasformato in annunci pubblicitari su misura per noi. Niente di nuovo se non fosse che, visto da vicino, l’algoritmo pubblicitario di Facebook ha le sembianze di un vero e proprio Grande Fratello.
Anzitutto qualche dato. Facebook ha 2,2 miliardi di utenti nel mondo. A dicembre 2017, gli utenti attivi giornalieri hanno raggiunto quota 1,4 miliardi (rispetto a 1,23 miliardi di dicembre del 2016), mentre gli utenti attivi mensili erano 2,13 miliardi (rispetto a 1,86 miliardi del 2016). Un’audience di tutto rispetto che garantisce a Facebook guadagni record: nel 2017 ha incassato 40 miliardi di dollari in pubblicità, un terzo in più di quanto aveva ottenuto nel 2016 (26 miliardi). Parte di questo successo si deve proprio agli annunci pubblicitari, mirati e capillari, quasi infinitamente personalizzabili, a volte in modi sorprendenti.
Annunci ad personam. Gli annunci che appaiono sulla nostra bacheca possono infatti essere tarati non solo in base a dove viviamo e quali siti web abbiamo visitato di recente, cosa abbastanza usuale sul web, ma anche su fattori meno scontati, come per esempio ciò che fanno i nostri amici e a cosa gli piace, in base a quelle che Goethe avrebbe definito affinità elettive. “Quindi, se avete un amico a cui è piaciuta la pagina Facebook del New Yorker, potreste visualizzare annunci per la rivista sul vostro feed di Facebook”, si legge in un articolo dell’Associated Press. “E questa è solo la punta dell'iceberg”.
Affinità etnica. Secondo il New York Times fino a qualche mese fa il re dei social network ci classificava anche in base all'affinità etnica. “Facebook non chiede agli utenti di identificare la loro etnia, ma assegna le etnie in base ad attività come il contenuto e le pagine che gli utenti preferiscono. Un utente potrebbe essere classificato afro-americano, ad esempio, perché la sua attività su Facebook si allinea con l'affinità multiculturale afro-americana.
Le altre etnie che possono essere assegnate sono ispaniche e asiatiche-americane”. Nel 2016 quando il sito ProPublica scoprì che Facebook consentiva agli inserzionisti di escludere determinati gruppi etnici dai loro annunci ne venne fuori uno scandalo. Negli Usa, ma anche nella maggior parte dei Paesi europei, selezionare in base all’etnia (per esempio nelle ricerche immobiliari o nelle selezioni di personale) è illegale.
E infatti Facebook a novembre 2017 ha dichiarato che avrebbe escluso per un po’ tale funzione, per evitare che fosse usata in modo improprio.
Ma come sanno gli esperti di marketing digitale, Facebook può comunque selezionare il pubblico di un annuncio sfruttando elementi molto specifici (e personali): i contenuti che pubblichiamo sulla nostra bacheca, le preferenze sessuali, le app che usiamo, gli annunci sui quali clicchiamo, dati demografici come età, sesso e posizione e persino che tipo di dispositivo mobile usiamo o la velocità della nostra connessione di rete. Sulla base di queste informazioni, gli inserzionisti possono includere o escludere ulteriori categorie come “proprietari di case”, "mamme alla moda", persone che si sono trasferite di recente, progressisti o conservatori in politica (solo negli Usa) o persone interessate a un certo sport. “A metà 2014 - si legge sul New York Times - Facebook ha incorporato la cronologia di navigazione online degli utenti nella sua piattaforma di targeting degli annunci.
La società ha raccolto dati di navigazione per anni, da qualsiasi pagina web che includesse un pulsante di Facebook o che permettesse alle persone di accedere tramite i loro account Facebook e ha utilizzato i dati di navigazione - ad esempio, le visite di un utente a diversi siti web mentre acquistava una tenda - per perfezionare gli specifici interessi che gli inserzionisti potevano scegliere”. In pratica se acquistiamo qualcosa online, è molto probabile che Facebook lo venga a sapere e lo usi a proprio vantaggio per mostrarci pubblicità più invitante sulle sue pagine e anche su Instagram.
Email e amici. Una funzione nota come segmenti di pubblico personalizzati consente agli inserzionisti di rivolgersi a chiunque abbia già acquistato da loro o abbia visitato i loro siti Web. Le aziende possono infatti inserire su Facebook il loro indirizzario email e anche gli indirizzi acquistati dai data broker: così, una volta trovata la corrispondenza tra un indirizzo email e un profilo, Facebook avrà un dato in più per inserirci in una precisa categoria di acquirenti.
"E poi - spiega l’Associated Press - ci sono le udienze simili: sono le persone che presentano caratteristiche che le rendono simili ad altre che sono già clienti di un'azienda... Gli inserzionisti possono sfruttare questo strumento caricando prima i dati dei propri clienti (attraverso la funzione "segmenti di pubblico personalizzati") per poi affidare agli algoritmi di Facebook la ricerca di persone simili a loro”.
Annunci dinamici. Ma a che punto può spingersi un annuncio personalizzato di Facebook? Esistono i cosiddetti “annunci dinamici” che spiano le nostre azioni sul web.
Sempre secondo Associated Press, una popolare catena alberghiera, attraverso Facebook, è riuscita a “rivolgersi a persone che cercavano hotel sul suo sito Web ma che non avevano ancora prenotato. Poco dopo questi utenti si sono ritrovati tra la pubblicità un video personalizzato con le date e i luoghi che avevano appena cercato. Risultato: la catena di hotel, secondo Sheryl Sandberg (la direttrice operativa di Facebook), ha ottenuto il triplo di quanto speso per questi annunci rispetto alle campagne pubblicitarie precedenti”.
Questione di carattere. Infine c'è la delicata questione legata alla personalità, come ci ha confermato l’ormai famoso caso Cambridge Analytica. In breve, per quei pochi che ne hanno soltanto sentito parlare: nel 2013, un ricercatore della società di consulenza Cambridge Analytica, partendo da un lavoro (serio) dell’Università di Cambridge, ha pubblicato un test di personalità su Facebook, i cui risultati rivelavano agli utenti quanto fossero aperti, coscienziosi, estroversi, gradevoli o nevrotici.
Il ricercatore ha confrontato i risultati del quiz con i gusti e le preferenze manifestate dagli utenti su Facebook, cercando corrispondenze tra interessi e tratti della personalità. In questo modo Cambridge Analytica ha potuto sviluppare un potente sistema a uso dei suoi clienti, (tra cui aziende e politici) grazie al quale è stato possibile costruire annunci "su misura", mirati agli utenti ritenuti ideali per personalità, carattere, profilo emotivo...
È la privacy, bellezza. Ma per la legge del contrappasso, proprio il polverone suscitato dall’uso spericolato dei nostri dati da parte di Cambridge Analytica, che ha raccolto informazioni su 87 milioni di utenti per costruire annunci elettorali su misura, ha spinto Facebook a impegnarsi a migliorare le proprie politiche su privacy e trasparenza e a ripensare anche alcune funzioni pubblicitarie: tra le altre ipotesi prese in esame dal social network, c’è quella di eliminare le "opzioni di targeting" (che consentono cioè di puntare determinati tipi di utenti) basate su dati di terze parti dalla sua piattaforma pubblicitaria.
“I cambiamenti - conclude il New York Times - coincidono con l'introduzione di una nuova legge nell'Unione europea, il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). La legge, che entrerà in vigore il mese prossimo, richiede alle società tecnologiche di limitare la raccolta di dati dell'utente a ciò di cui hanno bisogno per eseguire servizi e di ottenere il consenso dei clienti su come i loro dati saranno utilizzati e con chi sarà condiviso. Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Facebook, ha affermato che offrirà a tutti i suoi utenti la stessa privacy richiesta dalla legge europea, indipendentemente da dove vivono”.