Secondo le stime di Gartner alla fine del 2015 gli oggetti connessi a Internet erano più di 5 miliardi: smartphone, bracciali per il fitness, autovetture, piccoli elettrodomestici, dispositivi per l’automazione industriale e domestica, sensori di ogni tipo. Ciascuno di questi oggetti raccoglie, analizza e distribuisce un’enorme quantità di dati: biometrici, ambientali, sanitari, meteorologici...
In questi dati, e nelle informazioni che la loro elaborazione e aggregazione può fornire, è racchiuso il vero valore dell’Internet of Things.
La magia dei dati. I veicoli connessi, per esempio, scambiando tra loro e con l’infrastruttura stradale le informazioni sul traffico potrebbero contribuire alla fluidità e alla sicurezza della circolazione.
Gli automobilisti potrebbero ricevere le segnalazioni relative a ingorghi e rallentamenti con congruo anticipo, mentre i display delle vetture e la segnaletica informativa potrebbero attivamente indicare percorsi alternativi più scorrevoli.
In maniera analoga il continuo dialogo tra contatori intelligenti e apparecchi elettrici potrebbe ottimizzare i flussi di corrente in modo da evitare sovraccarichi e incanalare l’energia laddove il fabbisogno è più elevato.
Ad oggi solo il 10% dei dati raccolti dai dispositivi dell’Internet of Things viene effettivamente utilizzato: il resto va praticamente perduto. Ma come si può impiegare una simile mole di informazioni, che continua a crescere ed evolversi un giorno dopo l’altro?
La nuova informatica. L’approccio informatico tradizionale, che prevede l’elaborazione dei dati attraverso schemi e programmi predefiniti, non è applicabile all’Internet of Things: dispositivi e sensori si trovano infatti ad operare in contesti dinamici e scarsamente prevedibili e devono modificare il proprio comportamento in base all’evoluzione dell’ambiente circostante.
Un termostato intelligente o un impianto di illuminazione smart devono per esempio tenere conto della temperatura o della luminosità esterna ma anche della presenza o meno di persone all’interno dei locali.
Un sistema informatico di concezione classica riesce a effettuare elaborazioni predefinite secondo scenari standard e questa rigidità non gli permette di sfruttare al massimo le potenzialità di dati che si evolvono di continuo e che iniziano a invecchiare nel momento stesso in cui vengono registrati.
Computer che imparano. Questi limiti vengono superati dai sistemi cognitivi, supercomputer che non sono programmati secondo sequenze di istruzioni rigide e predefinite ma che imparano dalla ripetuta interazione con l’uomo e con l’ambiente nel quale sono usati.
Rispetto alle macchine tradizionali, queste intelligenze artificiali riescono ad evolversi e tenere il passo con la complessità delle informazioni generate dall’Internet of Things. E a differenza dei sistemi meno evoluti riescono ad utilizzare anche dati non strutturati come fussi video, post sui social network e via dicendo.
I sistemi cognitivi sono per esempio impiegati nella lotta al terrorismo: tengono sotto controllo le telecamere degli obiettivi sensibili, riescono a individuare comportamenti sospetti, come qualcuno che abbandona un pacco o una valigia, ma sono anche in grado di ascoltare Twitter per cogliere i cambiamenti di umore nei membri di un partito politico o di una fazione estremista.
Ti ascolta e ti capisce. Di fatto questi sistemi si appoggiano a una infrastruttura hardware potente e affidabile per analizzare grandi quantità di immagini, video, tweet, post su facebook e blog alla ricerca di schemi altrimenti invisibili. E per poter fare questo devono anche essere in grado di comprendere il linguaggio naturale.
Analogamente, queste intelligenze artificiali possono essere impiegate dalle aziende per cercare, all’interno dell’enorme massa di dati generati dagli oggetti connessi, la soluzione a problemi matematici come il calcolo del percorso migliore o l’ottimizzazione dei consumi energetici di un’intera città.
Nei sistemi industriali, per esempio, possono elaborare e studiare i dati prodotti dai diversi dispositivi connessi dislocati lungo la catena produttiva e prevedere con anticipo guasti e rotture, ma anche suggerire modifiche alle lavorazioni che possano portare a miglioramenti della qualità o riduzione dei costi.
Qualcosa di simile è stato realizzato da Shaffler, azienda tedesca specializzata nel settore automobilistico, che utilizza Watson IoT, la piattaforma di cognitive computing di IBM, per analizzare i dati provenienti da milioni di sensori e dispositivi che controllano le attività operative dei produttori di automobili.
Infermiere robot. Un altro esempio interessante riguarda il settore medico, dove Nokia e IBM stanno collaborando per rendere più sicure e indipendenti le persone anziane o con problemi di salute.
Gli smart device prodotti da Nokia, collegati alla Rete e ai sistemi cognitivi di IBM, sono in grado di rilevare cambiamenti repentini nella routine quotidiana del paziente monitorato, variazioni improvvise nell’ambiente domestico o segnali vitali anomali. Se qualcosa non va, avvisano gli operatori sanitari che possono così intervenire tempestivamente.
Sistemi vocali disposti all’interno dell’abitazione riconoscono comandi come “chiama un’ambulanza” e ricordano di prendere le medicine o di spegnere un apparecchio elettrico, con l’obiettivo di lasciare i pazienti il più a lungo possibile nel proprio ambiente e in piena autonomia.