Secondo Amit Singhal, sviluppatore del motore di ricerca di Google, Bing, ha creato un sottile meccanismo che attraverso una serie di giri finisce per riciclare i risultati presi da Google.Questa storia ha fatto rapidamente il giro del mondo, causando imbarazzo e clamore: mentre Singhal ha usato il termine “riciclare”, la stampa specializzata non si è certo frenata, accusando Microsoft di rubare i risultati di un altro motore di ricerca.
Ma come funziona? Amit Singhal ha deciso di fare una prova pratica, una vera e propria “stangata” ai danni di Bing. Ha scelto una serie di termini sconosciuti ad entrambi i motori di ricerca (sequenze casuali di lettere) ed ha creato degli specchietti per le allodole, siti fasulli che si riferivano ai termini fino ad allora sconosciuti, e li ha manualmente fatti comparire su Google. Poi, con la complicità di altri 20 dipendenti di Mountain View ha fatto cercare e cliccare il termine con IE dotato della toolbar di Bing e con i Siti Suggeriti attivi.
I tempi dei motori di ricerca sono più lunghi del previsto, come vi direbbe chiunque si sia mai interessato di SEO, quindi sono servite un paio di settimane di attesa per avere dei risultati... Ma qualcosa è successo. Su un centinaio di specchietti per le allodole, quasi una dozzina hanno iniziato a comparire su Bing.
Microsoft ha risposto alle accuse prima con un comunicato ambiguo, poi negando fortemente di copiare i risultati altrui, infine dicendo che le idee di Singhal sono "da spy story". Così si è espresso Harry Shum, vicepresidente esecutivo: “Bing usa più di mille “segnali” per creare il proprio algoritmo. Impariamo da tutti i nostri clienti. [Metterla su questo tono] è stata una tattica disonesta da parte del nostro competitor, ma scegliamo di prenderlo come un complimento. Va fatto notare che non rappresenta come gestiamo i dati che volontariamente ci forniscono i nostri utenti”.Inutile dire che le affermazioni di Shum suonano come un pessimo tentativo di rigirare la frittata.