Digital Life

Apple paga una violazione di brevetto. Presa per stanchezza?

Paga chi l'ha citata in giudizio.

Apple deve essere frastornata. Sarà stato un periodo terribile. Forse potrebbe addirittura trattarsi di una sindrome da shell-shock, non dissimile da quella subita dai veterani del Vietnam al ritorno dalla guerra. Come altro spiegarsi la resa e l’accordo a cui Apple si è abbassata nei confronti di Sharing Sound, un infimo “patent troll”?

Questa azienda tanto sconosciuta quanto inutile si è resa responsabile di un numero vastissimo di citazioni in giudizio rivolte a tutti coloro che hanno osato vendere musica online, il tutto grazie alla registrazione di un brevetto vago. Sharing Sound infatti ha depositato presso il relativo ufficio l’atto di “Vendere musica tramite sito web su Internet”, comprendendo in questo concetto anche i negozi online, i carrelli e le anteprime dei brani. In poche parole, l'esistenza stessa di iTunes viene considerata una violazione dei propri diritti da parte di questa compagnia fantasma, che non sembra aver mai prodotto o messo sul mercato nulla di utile.

E’ piuttosto comune in America tentare la fortuna in questo modo, registrando brevetti vaghi e assurdi nel tentativo di scendere a patti con i bersagli della propria campagna legale. Quello che è raro è che un’azienda si abbassi a pagare per far tacere questo genere di imbroglioni ed il fatto che questa volta si sia trattato di Apple è ancora più strano. La multinazionale di Cupertino, infatti, è nota per la propria aggressività in tribunale.

Si vede che questa volta la richiesta di danni è stata così bassa da far desiderare ad Apple di sistemare la seccatura in quattro e quattr’otto. Dubito che gli altri citati in giudizio saranno altrettanto sbrigativi. A Sharing Sound resta solo da convincere Microsoft, Napster, Rhapsody, Kazaa, Sony/Ericsson, Amazon Netflix, Wal-Mart, Barnes & Noble e GameStop... Una strada tutta in discesa, giusto?

5 ottobre 2010
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