Spazio

Vulcani su Venere

Venere è una vera sfida per chi deve progettare le sonde da mandare in esplorazione attorno (o sopra) il pianeta.

Prima di riuscire a portare un rover su Venere - impresa piuttosto complessa dato che le temperature al suolo sono di 480 °C e la pressione 90 volte superiore a quella terrestre - si dovrà produrre una precisa mappa dei vulcani attivi per non rischiare di finire a ridosso o dentro uno di essi. Anzi, data la densità dell’atmosfera (circa 6,5 volte quella dell’acqua), che fa sì che gas e polveri rimangano per lungo tempo in sospensione, sarà necessario scendere molto lontano da qualunque vulcano venusiano.

A queste conclusioni sono giunti i ricercatori del Max Planck Institute for Solar System Research sulla base dei dati di Venus Express, la missione dell’Agenzia Spaziale Europea ufficialmente conclusa il 16 dicembre 2014, che ha permesso di scoprire vulcani attivi su Venere.

Il pianeta impenetrabile. Venere è molto difficile da studiare perché la sua atmosfera è molto spessa e composta per lo più da anidride carbonica (CO2), impenetrabile agli strumenti di osservazione visiva. È stata perciò studiata attraverso rilevamenti radar, in particolare negli anni '90 grazie alla sonda Magellano (Nasa), che permise appunto di scoprire che Venere possiede molti vulcani, ancora più che la Terra. Il radar, però, non poteva permettere di datare le rocce e neppure di verificare se le colate rilevate erano vecchie, recenti o recentissime.

La superficie del pianeta è stata studiata attraverso l'uso di un radar a bordo della sonda della Nasa Magellano © Nasa

Vulcani di oggi. Adesso sappiamo che le colate sono recenti, forse anche recentissime. La ricerca di vulcani attivi andava avanti da molto tempo: nel 2010, per esempio, si era scoperto che la radiazione infrarossa proveniente da tre regioni diverse di Venere era differente da quella di altre aree. Le conclusioni furono che in quelle regioni doveva esserci lava relativamente recente. Nel 2012 un’altra ricerca, sempre legata a Venus Express, aveva dimostrato che nell’atmosfera di Venere si verificano di tanto in tanto picchi di anidride solforosa, tipico gas emesso da eruzioni vulcaniche - almeno sulla Terra.

Ancora più di recente, attraverso osservazioni nel vicino infrarosso (IR-A, serve per mappare le emissioni termiche di una superficie) i ricercatori hanno individuato superfici molto brillanti, ossia molto calde, che compaiono e scompaiono nell’arco di pochi giorni. Si trovano in prossimità di Ganiki Chasma, vicino ai grandi vulcani Ozza Mons e Maat Mons. Qui la temperatura al suolo sembra essere arrivata a 830 °C, ossia di molto superiore a quella delle aree circostanti, dove la temperatura è stabile attorno ai 480 °C.

Spiega Eugene Shalygin, ricercatore del Max Planck Institute: «In vari punti del pianeta abbiamo rilevato improvvisi riscaldamenti della superficie, che poi si raffredda in pochi giorni».

Alcune di quelle aree sono considerate dei rift, ossia delle grandi fratture, e questo fa pensare che la spiegazione del fenomeno sia la risalita di magma in superficie.

In questo disegno una ricostruzione di come potrebbe apparire il paesaggio su Venere durante un'eruzione © ESA/AOES Medialab

Rimodellamento continuo. Che cosa crea così tanto calore sotto la superficie di Venere da generare ancora oggi grandi quantità di magma? Una delle ipotesi, la più condivisa, è che il calore sia prodotto da grandi quantità di materiale radioattivo presente nel mantello di Venere.

Il riscaldamento continuo dovuto al decadimento dei materiali radioattivi darebbe origine a fenomeni vulcanici sporadici (forse come quello rilevato di recente) e al contempo produrrebbe così grandi quantità di magma che una volta ogni 500 milioni di anni l’intera superficie del pianeta verrebbe completamente rimodellata da cataclismatiche eruzioni. In base a questa ipotesi, la superficie del pianeta verrebbe totalmente cancellata e ridisegnata dal nuovo magma che sale dalle profondità del pianeta.

Una ricostruzione di come appare Maat Mons dalla superficie di Venere. Le aree più chiare sono le colate più recenti © Courtesy of David P. Anderson (Southern Methodist University)
23 giugno 2015 Luigi Bignami
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