Esattamente 35 anni fa come oggi, dalla base di lancio di Cape Canaveral partiva la missione Voyager 1. La sonda gemella, Voyager 2, era partita qualche giorno prima, il 20 agosto. Fu un progetto estremamente impegnativo perché si voleva sfruttare una situazione planetaria molto rara, quella che vedeva più o meno tutti i grandi pianeti esterni (quelli giganti e gassosi) allineati e quindi li si poteva sorvolare da vicino. Fu questo il motivo che portò la Nasa a costruire non una bensì due sonde simili e a lanciarle nel giro di pochi giorni.
A caccia di giganti
Voyager 1 aveva come obiettivo quello di sorvolare Giove, Saturno per poi andare oltre, al di là del sistema solare. Dopo due anni di volo arrivò, come previsto, a sorvolare Giove e per un paio di mesi lo fotografò con insistenza insieme ai suoi satelliti principali. Le scoperte furono sorprendenti. In particolare osservò per la prima volta dei vulcani attivi su Io, uno dei quattro satelliti scoperti da Galileo Galilei, vulcani che emettono zolfo.
Grande scopritore
Nel 1980 Voyager 1 arrivò a Saturno avvicinandosi fino a 120.000 km. La sonda si dedicò in particolare allo studio degli anelli e per la prima volta fotografò da vicino il misterioso Titano, un satellite avvolto da una densa atmosfera. A quel punto Voyager si sarebbe anche potuto spegnere, perché la missione era terminata. Ma incredibilmente per i tecnici della Nasa essa ha continuato a rilevare l’ambiente attorno a sé e ad inviare a Terra i dati raccolti.
E continua a farlo ancora oggi con un computer di bordo che ha una potenza 100.000 volte inferiore agli attuali iPad. Gli strumenti ancora attivi lo sono grazie al generatore termonucleare che si trova a bordo della sonda e che produrrà energia fino al 2025.
Negli ultimi mesi la sonda sembra aver raggiunto i confini del sistema solare, in quanto la velocità del “vento solare”, ossia le particelle emesse dal Sole, è sceso quasi a zero, mentre si fanno sentire sempre più intensamente le radiazioni cosmiche, ossia quelle che provengono da altre stelle della nostra galassia.
La linea di confine ovviamente, non è qualcosa di netto e preciso, ma una fascia che solo quando la Voyager l’avrà superata totalmente sapremo quanto è spessa.
Sta di fatto che in questi giorni la sonda, che viaggia a circa 17 chilometri al secondo (61.200 chilometri all’ora) si trova a 16,8 ore-luce dal Sole, ossia una distanza tale per cui un segnale emesso da Voyager impega quasi 17 ore per raggiungere la nostra stella e anche la Terra, che in chilometri corrisponde a circa 18,2 miliardi di chilometri.
E poi? Se continuerà a funzionare come oggi nel 2014 ci invierà dati dello spazio interstellare, perché lo avrà sicuramente raggiunto, e potrebbe continuare ad inviare dati fino al 2016, quando la vita di un giroscopio che mantiene orientata l’antenna verso Terra avrà termine.
Ma Voyager continuerà a vivere e tra 40.000 anni passerà a 1,6 anni luce dalla stella AC+793888. Difficile che, anche se vi fosse un pianeta abitato, qualcuno se ne accorgerà.
Ma se mai dovesse succedere e venisse catturata da una società aliena a bordo vi è un disco di rame placcato d’oro che, se mai potesse essere decodificato (sulla Terra oggi sarebbe difficile farlo, perché non abbiamo più lettori di quel genere di registrazioni) permetterebbe di rilevare com’è la vita sulla Terra con i suoi suoni e i suoi paesaggi e non ultimo l’uomo. Ma noi non ci saremo…