Spazio

La storia e il futuro delle missioni su Venere

Ora che Venere è tornata a far parlare di sé, ripercorriamo la storia delle sue esplorazioni robotiche, e delle loro discese... agli inferi.

C'è un meme che gira su Twitter in queste ore: mostra l'auto degli astrobiologi lanciata a tutta velocità verso Marte e le lune ghiacciate, mentre compie una brusca virata verso l'uscita "Venere". Dopo la scoperta di una "firma chimica" compatibile con la presenza di vita anaerobica tra le nubi di Venere, sono molti gli scienziati che prenderebbero al volo quella deviazione, convinti che il secondo pianeta del Sistema Solare offra prospettive di ricerca più interessanti rispetto al più gettonato Marte. Nella storia dell'esplorazione spaziale, Venere è stata visitata da una quarantina di sonde e lander, e poi a lungo messa da parte perché impossibile da raggiungere con equipaggi umani.

Missioni kamikaze. I primi in ordine di tempo a interessarsi a Venere furono i sovietici, che tra il 1961 e il 1984 spedirono in direzione del pianeta almeno 18 sonde. Come racconta un articolo sul New York Times, dopo aver assistito inermi alla distruzione di una serie di veicoli spaziali, schiacciati come lattine dall'elevatissima pressione atmosferica al suolo di Venere, i russi concepirono lander del peso di diverse tonnellate, corazzati come sottomarini, ideati per schiantarsi al suolo e raccogliere dati prima di soccombere.

Nel 1967 il Venera 4 divenne il primo veicolo spaziale ad analizzare l'atmosfera di un altro pianeta: non sopravvisse fino a toccare il suolo di Venere, ma riuscì a misurare le concentrazioni di anidride carbonica che causano il micidiale effetto serra del pianeta; la sonda registrò inoltre le altissime temperature venusiane (in media 430 °C) e la densità della sua atmosfera, 90 volte più elevata di quella terrestre.

La stagione più intensa. Le prime immagini panoramiche in bianco e nero del suolo di Venere, una distesa di rocce basaltiche frammentate, furono inviate nel 1975 dalla sonda Venera 9 (qui la storia della sua rocambolesca discesa). Il pianeta che oggi sappiamo essere stato bagnato dagli oceani per oltre 3 miliardi di anni era ora ridotto a un deserto ostile persino per i robot.

Negli anni '80 il ritratto del pianeta roccioso così simile alla Terra per dimensioni e densità si arricchì di dettagli. Le missioni Venera 11 e 12 individuarono una grande quantità di fulmini diretti verso la superficie, mentre le sonde Venera 13 e 14 restituirono le prime immagini a colori del suolo e registrarono i suoni della loro discesa - il primo audio inviato da un mondo extraterrestre. Nel 1985, le sonde gemelle Vega dimostrarono che era possibile far discendere strumenti scientifici sulla superficie sfruttando palloni sonda capaci di galleggiare dolcemente tra le nubi di Venere.

La superficie di Venere a colori, fotografata in immagini composite dal lander sovietico Venera 13. © Venera team/Don P. Mitchell

La versione americana. Nel frattempo anche la NASA, con le missioni Mariner e Pioneer, si era lanciata nell'esplorazione di Venere. Nel 1962 la sonda Mariner 2 effettuò un sorvolo ravvicinato di Venere nel quale determinò che le temperature erano più fredde nello strato di nubi ed estramente calde vicino alla superficie. A partire dal 1978 una serie di sonde Pioneer garantì uno studio continuativo e puntuale dell'atmosfera di Venere, delle caratteristiche della sua superficie e del suo - praticamente assente - campo magnetico. Nel 1990, nell'ultima missione della NASA finalizzata all'osservazione di Venere, la sonda Magellano si inserì nell'orbita del pianeta, dove avrebbe trascorso 4 anni: l'orbiter scoprì che quasi l'85% della superficie di Venere è ricoperto di depositi di lava, la prova di un'attività vulcanica che continua ancora oggi.

gli ultimi anni. Del presente geologicamente attivo di Venere siamo al corrente grazie alla sonda Venus Express dell'ESA, rimasta nell'orbita del pianeta dal 2005 al 2013. Oggi a sorvegliare Venere da vicino c'è solo la sonda giapponese Akatsuki, che ha svelato la presenza nell'atmosfera venusiana di una serie di increspature, note come onde di gravità. Sulla Terra, questo fenomeno si verifica quando l'atmosfera in movimento incontra una catena montuosa, e su Venere potrebbe avere una spiegazione simile.

Il futuro. Dopo la scoperta della fosfina sarà essenziale predisporre osservazioni ripetute delle nubi di Venere, per capire se le concentrazioni del gas mutino nel tempo. Ma come ricorda su Twitter Chris Lintott, astrofisico dell'Università di Oxford, nessuna delle possibili missioni su Venere ipotizzate finora sembra attrezzata per questo. Per ora i progetti di missioni venusiane vagliati dalla NASA sono stati sorpassati in priorità da missioni robotiche verso asteroidi o satelliti, ma l'agenzia spaziale americana sta comunque investendo su due veicoli spaziali, DAVINCI+ e VERITAS.

La prima missione dovrebbe esplorare l'atmosfera venusiana per comprenderne l'evoluzione, la seconda ha l'obiettivo di mappare con precisione la superficie e di studiare la geodinamica interna che ha modellato il pianeta. Se anche dovesse essere finanziata, VERITAS rimarrebbe nell'orbita di Venere; DAVINCI+ entrerebbe in atmosfera, ma troppo rapidamente per analizzare la composizione della fascia di nubi in cui è presente la fosfina, a circa 50 km di quota. Nessuna delle due proposte di missione è comunque al momento stata confermata.

Analisi tra le nuvole. Per esplorare l'alta atmosfera di Venere occorrerebbe rispolverare i concept di aerostati in grado di resistere per un po' tra le nubi del pianeta, come quelli della missione con equipaggio HAVOC (High Altitude Venus Operational Concept), un progetto visionario e improbabile che la NASA ha in archivio e che definisce "non più attivo".

Un pallone sonda capace di analizzare le biomolecole dell'atmosfera di Venere è anche una delle componenti della Venus Flagship mission, una proposta di studio a lungo termine di Venere, del suo clima, della sua attività geologica e della sua atmosfera, che si avvarrebbe di più elementi (orbiter, lander, aerostati) e e che anche se approvata non si concretizzerebbe prima del decennio 2030.

15 settembre 2020 Elisabetta Intini
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