Quello che sembrava essere un (meraviglioso) verosimile dipinto della nostra Galassia, anziché gettare nuova luce sulle caratteristiche dell’Universo ha reso più opaca la sua comprensione. La questione è emersa in tutta la sua complessità alcuni giorni fa, quando è stata pubblicata la mappa tridimensionale della Via Lattea, composta grazie ai dati del satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea.
Sulla mappa sono rappresentate circa 1,7 miliardi di stelle, per ciascuna delle quali sono note posizione, luminosità, moto e altre caratteristiche. Una delle nostre ipotesi sull'Universo non è in accordo con quella rappresentazione della Galassia: si tratta della velocità di espansione dell'Universo, e non è cosa da poco.
Abbiamo due metodi. Per stimare la velocità di espansione dell’Universo si seguono due differenti metodi, che portano a valori un po’ diversi: i ricercatori speravano che i dati di Gaia potessero ridurre il conflitto, ma non è stato così, anzi. Ecco però in sintesi una sommaria descrizione dei due metodi attualmente condivisi, con qualche rimando per approfondire ma senza entrare nei dettagli.


Il primo metodo si basa sull'uso di un valore costante, in particolare della costante di Hubble, definita dallo studio della radiazione cosmica di fondo, che è una specie di "reliquia della prima luce dell’Universo" così come doveva essere 300-400.000 anni dopo il Big Bang, quando l'Universo - con la formazione dei primi atomi di idrogeno - divenne "trasparente".
I ricercatori hanno utilizzato quella radiazione per determinare quanto velocemente l’Universo si stava espandendo all'inizio del tempo e poi, con i modelli di evoluzione, per determinare quanto l’Universo si espande ai nostri giorni.
Il secondo metodo si basa sulla misura della distanza delle cefeidi: queste sono stelle variabili, che passano da una fase di minima a una fase di massima luminosità.
Questa caratteristica delle cefeidi permette di stimare con precisione dove si trovano e quanto si allontanano da noi e tra loro. Questo metodo porta infine a un valore del 9 per cento superiore rispetto al metodo della radiazione cosmica di fondo.
La missione Gaia. Il satellite astrometrico GAIA (vedi su Focus.it) è una missione spaziale sviluppata dall’Agenzia spaziale europea (ESA) il cui compito è quello di misurare la posizione di oltre un miliardo di stelle con una precisione mai finora raggiunta.
Fino a questa missione si conoscevano poche cefeidi da utilizzare per i calcoli di cui abbiamo parlato: nell'arco di cinque anni Gaia ne ha individuate ben 50. Adam Riess, dello Space Telescope Science Institute (Baltimora, Maryland) ha passato in rassegna i dati delle nuove cefeidi per capire se c’era modo di limitare la discrepanza della costante di Hubble, con un risultato sorprendente: «non solo questa discrepanza è rimasta, ma si è rafforzata», commenta Riess.


Nuove domande. Molto semplicemente e senza girare attorno al discorso, questo vuol dire che qualcosa non va nei modelli di evoluzione dell’Universo che ci siamo fatti finora: stiamo lavorando a un modello dell’Universo che non è corretto. «Forse "là fuori" ci sono particelle che non abbiamo mai rilevato e ipotizzato, oppure le nostre ipotesi sulla materia e sull’energia oscura sono sbagliate», sottolinea Riess.
Non è tutto: Gaia ha rilevato un "disturbo inatteso" nella Via Lattea. Teresa Abtoja (università di Barcellona) ha analizzato i moti di oltre 6 milioni di stelle, rilevando che i movimenti di molti astri indicano che la Galassia è stata perturbata “recentemente” da un’altra galassia passata vicino alla nostra. Si tratta probabilmente della galassia nana del Sagittario, che tra 300 e 900 milioni di anni fa ci è venuta relativamente vicina.
«Questo è solo l’inizio di quel che ha rivelato Gaia con l'enorme massa di dati raccolti», commenta Riess. «Chissà che cosa scopriremo ancora dai dati che già abbiamo e da quelli che arriveranno, che saranno almeno 5 se non 6 volte più precisi di quelli che abbiamo adesso.»