Dopo cinque anni di viaggio per arrivare fino a Giove, la sonda Juno (NASA) è entrata in orbita attorno al pianeta gigante nel luglio del 2016 e da allora completa un'orbita al ritmo di una volta ogni 53 giorni. Negli ultimi giorni però si è resa necessaria una manovra molto particolare per evitare che il pianeta eclissasse la sonda per oltre 12 ore: poiché Juno è alimentata da pannelli solari, quell'arco di tempo senza essere esposta al Sole avrebbe causato lo scaricamento totale delle batterie di bordo, e questo avrebbe portato alla "morte" della missione.


Per evitarlo si è dovuto spostare la sonda con un'operazione che ha richiesto l'accensione del motore per oltre 10 ore, un tempo straordinariamente lungo. Durante l'accensione sono stati bruciati circa 73 chilogrammi di carburante e ciò ha fatto aumentare la velocità di Juno di 203 chilometri all'ora. «Con il successo di questo "burn" - il termine tecnico per indicare l'accensione del motore di una sonda per spostarla di orbita o per correggerne la traiettoria - riusciremo a evitare l'ombra del prossimo 3 novembre», spiega Scott Bolton, responsabile della missione: «è stata una manovra diversa da ogni altra. Anche prima di studiarla avevamo già messo in conto la fine della missione, ma sembra essere andato tutto bene.»


Almeno fino al 2021. In realtà, quando venne concepita la missione, il piano di volo non prevedeva che la sonda potesse essere eclissata dal pianeta, ma un problema al motore principale obbligò i tecnici della NASA a inserire Juno su un'orbita di 53 giorni anziché di 14, come previsto inizialmente. E questo l'ha portata lentamente ma inevitabilmente verso l'eclissi appena scongiurata. Dal 2016 sono innumerevoli le scoperte realizzate, e si vuole far durare la missione il più possibile. Al momento, almeno fino al 2021, ma già si sta lavorando per estenderla ancora di più. A bordo c'è anche uno strumento italiano, Jiram, che funziona ancora egregiamente e non mostra alcun segno di deterioramento.