La probabilità di un pianeta di sviluppare la vita varia in base a come sono illuminati dalla propria stella. Questo il contenuto della ricerca di un team di astronomi e biologi che permette di restringere il campo degli esopianeti su cui cercare la vita.
Non solo abbronzanti. Lo studio ci dice che i pianeti favoriti sono quelli che ricevono il giusto quantitativo di raggi ultravioletti UV.
Conoscendo quindi la luce emessa da una stella, è possibile stabilire qual è la distanza ottimale per un pianeta in orbita.
«Questo lavoro ci consente di restringere il numero dei candidati su cui cercare la vita», ha dichiarato Paul Rimmer, ricercatore del Cavendish Laboratory di Cambridge e coordinatore dello studio. «Ci porta, insomma, un po' più vicini ad affrontare la domanda: 'siamo soli nell'universo?'».
Una nuova fascia. Dallo studio emerge infatti che gli esopianeti ricevono la giusta dose di ultravioletti solo ad una certa distanza dalla propria stella.
Sovrapponendo questo parametro alla più nota fascia di abitabilità (la zona in cui il pianeta riceve il giusto calore per avere acqua liquida), ecco che, dei migliaia di esopianeti conosciuti, solo pochi soddisfano entrambi i requisiti. Ma qual è la giusta dose di radiazione ultravioletta?
Come da noi. La ricerca prende le mosse da un precedente studio biologico che individua nei raggi UV la scintilla che avrebbe permesso (a partire dall'acido cianidrico) la formazione dei composti chimici che fanno parte dell'RNA, la molecola alla base dello sviluppo delle prime forme di vita sul nostro Pianeta.
«Mi sono imbattuto in questi precedenti esperimenti e, come astronomo, la mia prima domanda è sempre 'che tipo di luce stiamo usando?'», racconta Rimmer. «Ho iniziato a misurare il numero di fotoni emessi dalle loro lampade e mi sono reso conto che confrontare questa luce con la luce di diverse stelle sarebbe stato il naturale passo successivo».
Solo sotto il Sole. I ricercatori hanno eseguito una serie di esperimenti di laboratorio per produrre un composto anche al buio, ma era inerte e inutilizzabile per formare i mattoni della vita. Invece l'esperimento eseguito sotto raggi ultravioletti ha prodotto i composti necessari.
Successivamente gli astronomi del team hanno confrontato la luce delle loro lampade con la luce UV di diverse stelle. Calcolando la quantità di luce UV che le stelle dispensavano ai loro pianeti in orbita, hanno determinato se, e a che distanza, potrebbero attivarsi i processi chimici.
Dai risultati è emerso che le stelle più fredde non producono abbastanza luce da innescare queste reazioni sulla superficie dei loro pianeti.
In questi casi, solo frequenti e potenti brillamenti solari potrebbero spingere avanti le reazioni passo dopo passo.
I migliori candidati. I pianeti che ricevono sia abbastanza luce per attivare le reazione, sia il giusto calore per poter avere acqua liquida sulle loro superfici, risiedono in quella che i ricercatori hanno chiamato zona di abiogenesi.
Tra gli esopianeti noti che si trovano nella zona di abiogenesi c'è anche Kepler 452b, un pianeta che è stato soprannominato cugino della Terra, sebbene sia troppo lontano per un'osservazione diretta. Si spera che i telescopi spaziali di ultima generazione, come TESS e James Webb, possano trovare e sondare molti altri pianeti all'interno della zona di abiogenesi.
Pianeta che vai... Naturalmente, è anche possibile che la vita su altri pianeti nasca o si sviluppi con un meccanismo completamente diverso dalle modalità terrestri. «Ma dato che finora abbiamo un solo esempio, ha senso cercare i posti più simili a noi", ha detto Rimmer.
«C'è un'importante distinzione tra ciò che è "necessario" e ciò che è "sufficiente"», continua Rimmer. «Gli elementi costitutivi sono necessari, ma potrebbero non essere sufficienti: è possibile che si possano mescolare per miliardi di anni e che non succeda nulla. Ma vogliamo focalizzarci sui luoghi in cui esistono gli elementi necessari».
C'è nessuno? Secondo stime recenti, ci sono circa 700 miliardi di miliardi di pianeti terrestri (ovvero non gassosi) nell'universo osservabile. I ricercatori stanno cercando di capire, fra questi, quanti abbiano condizioni favorevoli per la vita. Il prossimo passo sarà scoprire quanto sia probabile che, dalle condizioni favorevoli, nasca veramente la vita.