Astano, Sessa, Alto Malcantone... sono tutti nomi di piccole località, in Svizzera, che oggi non sapremmo più neanche localizzare se non con Google Maps: eppure, nel 1800, delimitavano la cosiddetta California del Ticino, la terra promessa dei cercatori d'oro frontalieri...
Qua e là a cavallo tra Italia e Svizzera ci sono numerose miniere aurifere sfruttate già al tempo dei Romani e più volte esplorate nel corso del tempo per capire di volta in volta quanto fossero ancora sfruttabili dal punto di vista economico. Fino a non moltissimo tempo fa se ne poteva trarre ancora qualcosa di conveniente, oggi non è più così: i costi di estrazione superano ogni possibile guadagno.
L'eterno minatore. La natura, però, ignora calcoli e tempi umani e con la sua lenta e costante opera di erosione continua a lavorare nelle montagne dove c’è oro (come nel massiccio del Monte Rosa) e trasporta a valle il prezioso minerale, depositandolo lungo i fiumi della Val Padana.
I minatori della domenica si divertono a cercarlo qua e là lungo le anse dei fiumi nella speranza di trovare qualche pepita, e a volte capita per davvero di trovarne, seppure di minuscole dimensioni. Fine della storia? Sarebbe così, se non fosse per la tecnologia, capace di spostare la ricerca dell’oro dalla Svizzera e dai fiumi padani... alle condotte d’acqua reflua, le fogne!
L'oro nel W.C. Uno studio su 64 impianti di trattamento delle acque di scarico, coordinato dall'istituto svizzero per la ricerca sulle acque (Eawag) e pubblicato su Environmental Science & Technology (sommario), è infatti giunto all'inattesa scoperta che dalle fogne escono (legalmente, si suppone) 50 kg d'oro e 3.000 kg d'argento l'anno, per un valore stimato di oltre 1 milione e mezzo di euro...
Non solo: secondo i ricercatori potrebbe in futuro diventare conveniente separare dalle acque anche altri minerali preziosi per l'industria, dal gadolinio (più di una tonnellata l'anno) usato nelle risonanze magnetiche ospedaliere e nella produzione di vernici luminose, al niobio e al titanio, usati in leghe particolari, fino al germanio e al tantalio, preziosi per l’industria elettronica. Insomma, le nuove miniere d'oro non sono più fiumi e monti, ma acque di fogna.
Pare anche che ci sia una spiegazione, razionale e semplice: in Svizzera vi è un gran movimento d’oro, dovuto alla lavorazione del metallo e, seppure in quantità effimere, una certa quantità finisce nelle fognature. A fine anno le somme danno numeri consistenti.
Per adesso no, grazie. Lo studio si chiede anche se e quanto valga la pena investire in processi di recupero.
Per alcuni minerali le quantità sarebbero anche interessanti, come nel caso dell'oro, ma nel complesso l'operazione pare ancora a bilancio negativo: non si ripagherebbero i costi per la separazione, almeno per adesso. Così l’oro e i suoi fratelli continueranno a scorrere liberamente.
Lasciando da parte l'ironia, lo studio ha comunque un valore importante: ha permesso di monitorare la vita di elementi “preziosi”, alcuni dei quali però anche pericolosi per gli standard di un Paese industrializzato. Il punto è che l'acqua che usiamo, arricchita da tutto ciò che utilizziamo, prima o poi torna in falda e inquina torrenti e fiumi, e poi campi coltivati: ne sappiamo parecchio qui in Italia, e ancora di più in questi giorni con la questione degli PFAS, in Veneto.
Il gadolinio, per esempio, altamente tossico, viene immesso in acqua per l’83 per cento dall’uomo; il fosforo che arriva nei fiumi è per il 50% "nostro", lo zinco per il 24 per cento e via così, fino all’1% dell’arsenico.