Osservazioni effettuate con telescopi da terra e dalla sonda europea “Mars Express” hanno rilevato i segni inequivocabili della presenza di metano sul pianeta rosso. Marte quindi non è un ”pianeta morto”. Fu verso la fine del 2003 che osservazioni effettuate da terra e dalla sonda europea Mars Express, appena giunta a destinazione, permisero di rilevare tracce di metano nella tenue atmosfera marziana. Grazie a queste osservazioni fu possibile stabilire che questo gas non era distribuito in maniera uniforme, ma non fu possibile individuare con esattezza la sorgente da cui avrebbe avuto origine.
Adesso un gruppo di ricercatori statunitensi ha pubblicato in un articolo sulla rivista Science in cui sono riportate delle mappe ad alta risoluzione che indicano tre zone della superficie di Marte in cui sono state rilevate consistenti nubi di metano. Le delicate e complesse misure spettroscopiche sono state effettuate presso l’Osservatorio di Mauna Kea (Hawaii) con il telescopio da 2,2 m di diametro Infrared Telescope Facility e con il gigantesco telescopio Keck 2 da 10 m di apertura. Man mano che il pianeta ruotava attorno al proprio asse, venivano ripresi degli spettri in rapida sequenza, la cui analisi ha permesso di compilare una mappa ad alta risoluzione del metano presente nell’atmosfera del pianeta rosso. È stato così possibile individuare alcune nubi di questo gas, una delle quali ne conteneva poco meno di 20.000 tonnellate. Il metano sembra essere stato emesso durante le stagioni più calde, primavera ed estate, forse perché lo strato di ghiaccio superficiale che ne impediva la diffusione nell’atmosfera è sublimato, lasciando libere le crepe e le fessure da cui è potuto fuoriuscire. Si è potuto stimare che il tasso di rilascio di questo gas è di circa 600 grammi al secondo.
Immagine in falsi colore che mostra le concentrazioni di metano (in colore rosso-arancione) osservate su Marte.
Una delle tre regioni corrisponde ad una estesa spaccatura della crosta superficiale (rift), la quale segna la superficie marziana ed è chiamata Nili Fossae. Le due altre zone si trovano ad un migliaio di chilometri di distanza. Una è centrata in corrispondenza della parte sud-orientale di un’antica regione vulcanica denominata Syrtis Major e situata al confine tra le pianure settentrionali e gli altipiani densamente craterizzati meridionali, mentre la terza coincide con una regione pianeggiante e segnata da molti crateri da impatto denominata Terra Sabae. Ma il mistero riguarda l’origine di questo gas e quale sia il meccanismo della sua formazione: biologico o geologico?
La vita media del metano nell’atmosfera marziana è infatti molto breve, in quanto questa molecola viene dissociata dalla radiazione ultravioletta solare in un periodo inferiore ai 350 anni, anche se si pensa che debba operare un altro meccanismo di distruzione più rapido, ragion per cui devono esistere dei meccanismi di produzione. Il più semplice potrebbe chiamare in causa l’interazione tra acqua e rocce vulcaniche nel sottosuolo marziano in condizioni di elevate pressioni e temperature. Il gas così prodotto potrebbe essere emesso dalle fratture crostali, oppure rimanere temporaneamente intrappolato in depositi di permafrost sotterranei ed essere rilasciato durante la stagione calda.
Ma potrebbe esistere l’alternativa, per molti versi più affascinante, e cioè che il metano possa essere il risultato dell’attività di microbi che vivono nel sottosuolo del pianeta, dove potrebbe essere presente dell’acqua allo stato liquido e al riparo dalle estreme condizioni ambientali superficiali inadatte alla vita. Questi microrganismi potrebbero essere simili a quelli scoperti in Sud Africa ad una profondità compresa tra 2 e 3 km dove vivono senza bisogno della luce solare. In questo ambiente la radioattività dissocia le molecole d’acqua ed i microbi utilizzano l’idrogeno così prodotto come sorgente di energia, facendolo reagire con l’anidride carbonica e producendo metano. Oppure, potrebbe trattarsi di microrganismi simili a quelli presenti nelle vicinanze delle sorgenti idrotermali lungo le dorsali oceaniche, a migliaia di metri di profondità, dove la luce del Sole non arriva. In questo caso la sorgente di energia viene fornita dal calore emesso dalle fumarole subacquee. Qualunque sia il meccanismo, rimane comunque il fatto che per produrre metano c’è bisogno della presenza nel sottosuolo di acqua allo stato liquido.
Gli strumenti a bordo del Mars Science Laboratory, che verrà lanciato nel 2011 potranno forse risolvere questo mistero.