La Nasa è alla ricerca di una nuova autonomia nei voli spaziali già dal 2011 - l'anno di pensionamento dello Shuttle - e il compito di emanciparla dalla Soyuz (l'inossidabile e affidabile capsula spaziale russa) spetterà alle compagnie spaziali private. Il passaggio del testimone potrebbe però richiedere più tempo del previsto, e causare uno stop anche di qualche mese alla presenza di astronauti "nasa" sulla Stazione spaziale.
Secondo un rapporto del Government Accountability Office (GAO), una commissione del Congresso degli Stati Uniti che monitora come sono spesi i soldi dei contribuenti, sia Boeing sia SpaceX (le due compagnie private cui è stato affidato l'incarico) rischiano di non essere pronte a traghettare gli equipaggi della Nasa verso e dalla ISS nel 2019, com'era previsto.
Alle strette. La causa è attribuibile ai ritardi nelle certificazioni di sicurezza che le capsule spaziali - la Dragon V2 per SpaceX, e la CST-100 Starliner per Boeing - devono ottenere dalla Nasa.
L'agenzia spaziale Usa paga profumatamente i posti sulla Soyuz (circa 80 milioni di dollari per un viaggio a/r), e il contratto con Roscosmos per questo servizio scadrà a novembre 2019.
Il rischio di un "buco". È possibile che nessuna delle due aziende riesca a garantire le certificazioni necessarie prima dell'agosto 2020 e, senza soluzioni alternative, ciò comporterebbe per la Nasa un'assenza in orbita di 9 mesi. Ottenere nuovi posti sulla Soyuz oltre la chiusura del contratto appare difficile. A differenza della Dragon V2, la Soyuz non è riutilizzabile: una capsula ad hoc non sarebbe pronta fino al 2021 e questa soluzione non sembra praticabile.
Non resta che sperare nello scenario migliore tratteggiato nel rapporto, ossia che Boeing possa, con uno sforzo di accelerazione, essere pronta con le certificazioni nel dicembre 2019, e che SpaceX la segua a ruota il mese successivo. Se così avvenisse, l'assortimento di nazionalità nell'equipaggio della ISS resterebbe garantito.