I segnali (suoni, ma non solo) prodotti dalle nostre tecnologie sono diventati così numerosi, e sono di così vari tipi, che ormai non solo facciamo fatica a identificarli immediatamente quando vengono emessi, ma a volte ci fanno pensare persino che siano stati gli extraterrestri a produrli, magari per comunicarci qualcosa.
È ciò che è successo con quello che sembrava essere un primo "segnale extraterrestre" captato nel 2019 dal programma Breakthrough Listen. Quel segnale, a differenza di quanto qualcuno ha pensato in questi due anni, non arriva da una civiltà extraterrestre avanzata, che abita su un pianeta attorno alla stella più vicina a noi (Proxima Centauri), ma è quel che i fisici chiamano un "falso positivo".
Per oltre 26 ore. Il segnale venne registrato circa due anni fa e da quel momento si è cercato di interpretarlo, ma alla fine si è capito che è stato prodotto da noi (lo studio è pubblicato su Nature Astronomy). Il tutto iniziò il 29 aprile del 2019 quando il telescopio australiano Parkes 'Murri Yang' venne puntato da un gruppo di scienziati, per 26 ore e 9 minuti, verso Proxima Centauri. Fino ad oggi, nonostante la stella sia molto vicina a noi, non era mai stata "ascoltata" con l'intento di verificare la provenienza o meno di segnali intelligenti.
È stato proprio per questo che scienziati del Breakthrough Listen hanno voluto sottoporla a un esame. Tra l'altro, negli ultimi anni, era stata scoperta l'esistenza di un pianeta, Proxima b, a una distanza dalla sua stella che lo pone nella cosiddetta fascia di abitabilità. Nonostante questa caratteristica gli astronomi avevano ipotizzato che, poiché il pianeta è molto più vicino alla sua stella che non la Terra al Sole, il vento solare di Proxima Centauri avrebbe dovuto strappargli via l'atmosfera, se mai ci fosse stata, e dunque le probabilità di vita erano alquanto irrilevanti. Tuttavia, come si dice?, mai dire mai...
I criteri di selezione. Così il gruppo di lavoro Breakthrough Listen ha scandagliato il cielo attorno Proxima su una gamma di frequenze da 700 MHz a 4 GHz, con una risoluzione di 3,81 Hz. Per avere un'idea di cosa significa: è come se fossero stati ascoltati 800 milioni di canali radio, il tutto con un'elevata sensibilità. Il sistema è studiato in modo tale che un computer elimini in automatico i segnali interpretati come "naturali", ossia che sembrano non provenire da un trasmettitore a grande distanza dalla Terra.
Il segnale rilevato il 29 aprile 2019, chiamato BLC1 (Breakthrough Listen Candidate) aveva in effetti caratteristiche che lo rendevano sospetto: in particolare, aveva una "banda stretta", e dunque non doveva essere "naturale, ma tecnologico"; inoltre durante tutto il periodo di ascolto sembrava provenire solo dalla direzione di Proxima e non da altre parti del cielo. I dubbi sono arrivati quando Sofia Sheikh (California University, Berkeley), prima autrice dello studio, ha scoperto - nell'archivio del radiotelescopio - l'esistenza di segnali simili tra le osservazioni passate.
La differenza. L'unica vera differenza tra i segnali del passato e quello captato di recente stava nel fatto che i primi apparivano anche quando il radiotelescopio non puntava verso Proxima. Spiega Sheikh: «Quel che avevo trovato mi dava la certezza che i vecchi segnali erano generati dall'uomo. Un'analisi più attenta mi ha permesso di capire che i segnali erano separati da intervalli regolari di frequenza e questi intervalli sembrano corrispondere a multipli delle frequenze utilizzate dagli oscillatori comunemente usati in vari dispositivi».
La conclusione? Non poteva che essere un'interferenza della nostra tecnologia, anche se non si è mai riusciti a capire quale fosse l'origine. Trovare la risposta a questo e a un'altra serie di dubbi non ancora chiariti è il prossimo obiettivo, necessario affinché in qualcuno non resti ancora il sospetto di una possibile provenienza aliena del segnale...