Spazio

Scoperto il buco nero più lontano dell’universo

La luce della galassia che lo conteneva partì oltre 13 miliardi di anni fa. È stato calcolato che avesse una massa paragonabile a 800 milioni di volte quella del nostro Sole.

Due gruppi di astronomi hanno appena scoperto il buco nero supermassiccio più lontano e più antico mai osservato dall'uomo. Si trova in un quasar e quando la luce della galassia che lo conteneva ha iniziato il suo viaggio l'Universo aveva soltanto 690 milioni di anni, ossia solo il 5% della sua età.

I quasar sono delle sorgenti energetiche che risiedono nel cuore delle galassie e sono generati dai buchi neri più massicci. La loro luce viene prodotta quando del materiale galattico, come gas o anche intere stelle, collassa all’interno del buco nero supermassiccio al centro di una galassia.

Tale materia si raccoglie in un disco di accrescimento intorno al buco nero, raggiungendo temperature fino a qualche centinaio di migliaia di gradi centigradi prima di cadere infine nel buco nero stesso. Il quasar appena scoperto è talmente luminoso che brilla come 40 mila miliardi di stelle simili al Sole

Il buco nero appena scoperto - invece - ha una massa che è paragonabile a 800 milioni di volte quella del nostro Sole. Un numero enorme.

«Riuscire a spiegare come un buco nero sia riuscito in soli 690 milioni di anni a raccogliere tutto il materiale che lo compone è una vera e propria sfida per le teorie che spiegano la nascita e la crescita dei buchi neri supermassicci», ha spiegato Eduardo Bañados, l'astronomo alla guida di uno dei team che ha fatto la scoperta.

I quasar sono gigantesche galassie che hanno al loro interno buchi neri molto massicci. © NASA

Nascevano buchi neri giganteschi. Per giustificare la crescita di buchi neri così grandi in così poco tempo, gli astronomi devono ipotizzare che le condizioni presenti quando l'Universo era molto giovane dovevano essere ben diverse da quelle di oggi e in grado di permettere la nascita di buchi neri con masse centomila volte superiori a quella del Sole. Condizioni estremamente diverse rispetto a quelle che portano alla nascita di buchi neri ai nostri giorni, che raramente superano le poche decine di volte la massa del nostro Sole.

Il quasar che è stato scoperto da Bañados è estremamente interessante perché ci arriva da quel periodo della storia dell’Universo noto come “epoca della reionizzazione”, un periodo che vide “emergere la luce” dopo secoli di buio totale.

Come si è arrivati a capire l’età. Va ricordato infatti, che il Big Bang diede il via all'Universo dando origine ad una “torbida zuppa” di particelle estremamente ricche di energia che andavano espandendosi. Mentre ciò avveniva, il tutto si raffreddava.

Dopo circa 400.000 anni, un tempo brevissimo su scala cosmica, quel materiale raffreddato divenne un gas composto da idrogeno neutro.

L'Universo era oscuro però, perché non aveva sorgenti luminose, fin quando la gravità della materia andò a condensare le prime stelle e conseguentemente le prime galassie.

L'energia rilasciata da quelle antiche galassie ha fatto sì che l'idrogeno neutro sparso in tutto l'universo venisse ionizzato, ossia gli venisse strappato un elettrone, uno stato dell'idrogeno che è rimasto tale fin da allora.

Una volta che l'Universo subì tale reionizzazione i “fotoni” iniziarono a viaggiare liberamente nello spazio, e come si sa i fotoni trasportano l'energia di ciò che noi chiamiamo luce.

Immagine della galassia che ospita il quasar recentemente scoperto, scattata nella caratteristica luce del carbonio ionizzato (CII). Osservazioni come questa hanno dimostrato che la galassia ospite contiene quantità sorprendenti di elementi pesanti e polvere. © MPIA / Venemans et al.

Le analisi del quasar che è stato scoperto da Banados dicono che esso si trova immerso nell'idrogeno neutro e questo significa che si formò in un periodo molto vicino alla reionizzazione.

La distanza del quasar da noi è stata determinata grazie allo “spostamento verso il rosso” della luce che esso emetteva, una misura, chiamata redshift, che permette di dire quanta strada ha percorso prima di arrivare a noi: maggiore è la distanza di un oggetto che noi osserviamo, più alto è il redshift.

Il quasar in questione (il suo nome è ULAS J134208.10+092838.61) ha un redshift di 7.54 il che indica che ci sono voluti più di 13 miliardi di anni perché la sua luce potesse raggiungere il telescopio Magellano.

Chi ha fatto la scoperta. I ricercatori, tra cui anche Roberto Decarli dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna, hanno effettuato la scoperta utilizzando diversi strumenti e telescopi: i Telescopi Magellano in Cile, le antenne del Noema Array (dell’Iram) in Francia e il radiotelescopio Very Large Array in Messico.

Durante l’intensa campagna osservativa, i due gruppi – uno guidato da Eduardo Bañados del Carnegie Institution for Science (vedi articolo scientifico), l’altro da Fabian Walter e Bram Venemans del Max Planck - hanno catturato la luce proveniente da questo quasar estremamente potente imparando qualcosa di nuovo sull’universo primordiale.

Perché è una scoperta importante. Come spiega Decarli a Media Inaf: «La scoperta di un quasar così distante nel tempo offre una prospettiva inedita sull'universo giovane. Questo oggetto da solo ci regala importanti informazioni sulla formazione ed evoluzione dei primi buchi neri supermacci, delle prime galassie di grande massa, sull'arricchimento chimico del gas nelle galassie e sull'evoluzione del mezzo intergalattico verso la fine della reionizzazione».

6 dicembre 2017 Luigi Bignami
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