Spazio

Il primo (e finora unico) sciopero in orbita

La storia di quando l'equipaggio della missione Skylab4 si ribellò al troppo lavoro imposto dalla NASA.

L’hanno chiamato “ammutinamento”, e forse la parola è esagerata. Ma quando tre astronauti nello spazio si stufano delle richieste eccessive da terra e protestano per il carico di lavoro incrociando le braccia è difficile trovare un’altra definizione.

A mettere in atto questa sorta di sciopero spaziale furono Gerald Carr, William Pogue and Edward Gibson, i tre astronauti della missione Skylab 4, in orbita sulla stazione americana lanciata nel 1972.

Un episodio su cui ci sono molti pettegolezzi e poche informazioni ufficiali, ma che sicuramente costrinse la NASA a ripensare le procedure e le regole con cui venivano assegnati i carichi di lavoro, a considerare più attentamente gli aspetti psicologici delle missioni spaziali, specialmente quelle di lunga durata, e a valutare con più attenzione la gestione di stress e conflitti.

Partenza sbagliata. Lo Skylab4 fu la terza missione a portare un equipaggio sulla stazione spaziale americana, il laboratorio messo in orbita con lo scopo di studiare la fattibilità della vita nello spazio, oltre che di fare una gran varietà di osservazioni scientifiche.

La precedente missione era stata un successo, l’equipaggio, rimasto sul modulo Skylab 59 giorni, era riuscito alla fine a completare anche più del lavoro assegnato. Anche il piano degli impegni della nuova missione, partita il 16 novembre 1973, era molto fitto, considerato che si sapeva sarebbe stata l’ultima, ma le cose non andarono fin dall’inizio nel verso giusto.

Appena arrivati in orbita, gli astronauti non riferirono – valutando che si trattasse di un malessere passeggero – che Pogue (scomparso nel 2014, a 84 anni) aveva sofferto di mal di spazio. Ma dal centro di controllo le conversazioni registrate erano state ascoltate, e i medici rimproverano l’equipaggio di aver voluto tenere nascosto l’episodio.

Il laboratorio spaziale visto dagli astronauti al momento del ritorno. © NASA

Superlavoro. La scaletta fittissima dei compiti che gli astronauti dovevano eseguire, con tempistiche poco realistiche, portò a un ulteriore accumularsi della tensione. I tre dell’equipaggio dovettero dapprima sistemare e organizzare migliaia di oggetti che servivano per gli esperimenti, fare osservazioni della Terra, del Sole e della cometa Kohoutek che era stata scoperta pochi mesi prima.

Le loro giornate lavorative erano di 16 ore, ma nonostante ciò gli astronauti rimasero ben presto indietro sulla tabella di marcia. Dal centro di controllo furono però invitati a darsi ancora più da fare, rinunciando al riposo dopo i pasti e ad altri momenti liberi per recuperare. Alla fine le cose presero una piega inaspettata. Visto che non veniva loro concessa, il 28 dicembre gli astronauti decisero di propria iniziativa di prendersi una giornata libera: spensero le comunicazioni radio (o forse per un errore nessuno dei tre si mantenne in contatto radio come erano soliti fare) e si rilassarono per 24 ore.

Tempi rispettati. Alla ripresa dei contatti, e fino a fine missione, dopo un chiarimento pare piuttosto burrascoso, furono rinegoziati i termini della questione, e gli astronauti ottennero il permesso di svolgere compiti in parziale autonomia, allentando la rigida scansione temporale dettata dal centro di controllo. I compiti previsti furono alla fine tutti completati, e i tre rientrarono l’8 febbraio 1974, raggiungendo il record per l’epoca di permanenza nello spazio, 84 giorni.

lezione per il futuro. L’episodio di Skylab4 costrinse però la Nasa a esaminare meglio la programmazione delle missioni umane. In particolare, fu subito chiaro che missioni di lunga durata non potevano essere gestite nello stesso modo di quelle brevi cui l’agenzia spaziale era abituata. Se una giornata scadenzata al minuto può andar bene nel breve periodo, e molto più difficilmente tollerabile per tempi lunghi.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, per esempio, ora, anche se certi compiti devono essere svolti esattamente in un certo momento, per altri viene lasciato un certo grado di autonomia. Da Skylab in poi, è stato chiaro anche che è necessario lasciare agli astronauti una certa quantità di tempo libero. Tutte lezioni imparate e messe in pratica. Sta di fatto, però, che nessuno dei tre astronauti di Skylab4 è più tornato nello spazio.

14 febbraio 2017 Chiara Palmerini
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