In molti film di fantascienza, l’incidente che porta un astronauta a trovarsi nel vuoto dello spazio senza tuta è quasi sempre seguito da una “esplosione” del suo corpo. È realistico? Probabilmente no.
Nel 1966, un tecnico della Nasa sperimentò in prima persona che cosa accade all’organismo umano se la pressione viene fatta scendere fino al livello riscontrabile a 36,5 km d’altezza (la Stazione spaziale orbita a circa 400 km di quota). L’uomo svenne dopo una quindicina di secondi. L’ultima cosa che ricordava era la saliva che bolliva sulla sua lingua; a bassa pressione, infatti, l’acqua bolle anche a temperatura ambiente.
Riprese conoscenza dopo 27 secondi, quando fu ricreata una pressione paragonabile a quella a 4.200 m di altezza.
Sangue che bolle... Se la pressione fosse molto bassa, o addirittura nulla, anche il sangue entrerebbe in ebollizione, e il cuore non riuscirebbe più a pomparlo. Il risultato sarebbe un collasso cardiocircolatorio. Le prime cause di morte sarebbero quindi la mancanza di ossigeno e il collasso. Il sistema nervoso, invece, richiede più tempo prima di danneggiarsi, in questo caso per l’azoto che si dissolve nel sangue. Infine, tutto il corpo si gonfierebbe per mancanza di pressione esterna, ma lo sfortunato astronauta sarebbe già morto.