Utilizzando i dati raccolti dal telescopio orbitante per radiazione infrarossa Spitzer, un gruppo di ricercatori anglo-statunitense coordinato da Jay Farihi, dell’Università di Leicester, ha posto nuovi limiti al numero di stelle attorno a cui potrebbero orbitare pianeti di tipo terrestre. Gli autori della ricerca sono partiti dall’analisi di un abbondante campione di “nane bianche” presenti nella nostra Galassia. Si tratta dei resti compatti (le loro dimensioni sono dell’ordine di quelle della Terra) di stelle una volta grandi come il Sole. La loro densità è tale che un cucchiaino del materiale di cui sono formate avrebbe una massa di molte tonnellate e si stima che circa il 90% di tutte le stelle, compreso il Sole, termineranno il loro ciclo evolutivo come nane bianche. Questi resti stellari dovrebbero avere un’atmosfera composta essenzialmente da idrogeno ed elio, ma molte di esse, spiegano i ricercatori, mostrano di essere contaminate da elementi più pesanti, come calcio, magnesio e ferro. Un dato attribuito finora ad un inquinamento dovuto al mezzo interstellare. Ora lo studio smentisce questa ipotesi e i risultati del lungo lavoro osservativo mostrano che almeno il 3% di tutte le nane bianche di una certa età, ma forse anche più del 20%, sono circondate da polveri e detriti rocciosi. La radiazione infrarossa che proviene dalle polveri che circondano questi oggetti è un chiaro segno che in questi sistemi erano o sono presenti dei pianeti rocciosi. Ma la cosa più eccitante è che una parte significativa di queste nane bianche appare essere “inquinata” da materiali che contengono acqua, un fatto questo che comporta importanti implicazioni per la frequenza di pianeti abitabili attorno ad altre stelle e la conseguente possibilità dello sviluppo di forme di vita anche elementari.
Immagine artistica di detriti rocciosi in orbita attorno a una nana bianca.
L’ipotesi più probabile è che le polveri osservate siano state prodotte dalla distruzione di oggetti asteroidali - i “mattoni” da cui si formano i pianeti – a causa degli effetti gravitazionali indotti da questi resti stellari collassati. Farihi e i suoi colleghi sono convinti che, sebbene le perturbazioni che fanno avvicinare alla stella questi oggetti potrebbero essere dovute alla presenza di pianeti di tipo terrestre, un pianeta gigante come Giove sarebbe in grado di fare questo lavoro in maniera molto più efficiente. Ne deriva che le nane bianche che possono avere attorno a sé dei pianeti rocciosi probabilmente possiedono anche pianeti di tipo gioviano.
Lo studio delle nane bianche sembra quindi essere un buono strumento per studiare sistemi planetari extrasolari
, in particolare per il fatto che questi oggetti sono relativamente poco luminosi e di piccole dimensioni, per cui la radiazione emessa dagli eventuali pianeti giganti o alle polveri che gli orbitano attorno non viene “soffocata” da quella emessa dalla stella. In secondo luogo, le nane bianche non contengono abbondanze significative di elementi pesanti, per cui è ragionevole supporre che questi provengano dai detriti che circondano la stella. Ciò rappresenta un metodo indiretto per studiare la composizione dei pianeti extrasolari.