La perdita d'acqua che durante la seconda EVA riempì il casco di Luca Parmitano fu molto più drammatica di quanto sembrò. E - forse - si sarebbe potuta prevedere: sono le conclusioni enunciate, con schiettezza ed umiltà, in una conferenza stampa organizzata ieri dalla Nasa e contenute nelle conclusioni dell'indagine condotta sull'incidente.
Il 16 luglio 2013 Luca Parmitano rischiò di morire soffocato durante la passeggiata spaziale in compagnia di Chris Cassidy. E, cosa importante, alcune avvisaglie del grave incidente c'erano già state la settimana precedente, ma furono prese sottogamba.
Avvisaglie sottovalutate
Già durante la prima EVA, nel casco di Parmitano ci fu una perdita, ma la colpa delle goccioline fu erroneamente attribuita alla rottura della sacca dell'acqua nella tuta dell'astronauta. «Se il problema fosse stato discusso in modo più approfondito avremmo realizzato che l'acqua nel casco di Parmitano era "anormale" e aveva bisogno di ulteriori investigazioni» ha ammesso Chris Hansen, ingegnere capo della commissione di inchiesta.
Invece, Luca Parmitano fu mandato nuovamente fuori dall'Airlock, con la stessa tuta e casco - un modello che ha ormai 35 anni e che necessiterebbe di una revisione. Dopo 45 minuti dall'uscita, il suo casco iniziò a riempirsi d'acqua, 1,5 litri di liquido che in breve bloccarono vista e udito dell'astronauta, rendendo impossibili le comunicazioni radio.
Fortunatamente a quel punto Luca si trovava già vicino all'Airlock, assistito da Cassidy. Normalmente, avrebbe impiegato 40 minuti a rientrare nella ISS.
Work in progress
La perdita è stata probabilmente causata da problemi a una pompa del sistema di raffreddamento della tuta. Ma l'origine della rottura è ancora tutta da chiarire e occorrerà farlo prima delle prossime EVA, previste per l'estate. «Dobbiamo rimanere vigili e comunicare sempre» aggiunge il comandante di volo della Nasa William Gerstenmaier. «Non vogliamo nascondere quello che è accaduto, ma raccontarlo per migliorare. È così che si prevengono disastri come quello del Columbia e del Challenger».
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