È forse la prima stella nata dopo il Big Bang e - qualora non lo fosse - appartiene comunque al gruppo delle stelle primordiali. L’ha scoperta nella nostra galassia un gruppo di astronomi giapponesi utilizzando il telescopio Subaru alle Hawaii. «Si tratta di una stella unica che non è mai stata osservata in precedenza», ha spiegato Wako Aoki, dell’Osservatorio nazionale giapponese e pricipale autore della scoperta.
SOLO IDROGENO ED ELIO. Subito dopo il Big Bang, e per alcune centinaia di milioni di anni, l’Universo era composto solo da idrogeno ed elio. «Era molto informe, quasi noioso, poi si sono formate le prime stelle», spiega Volken Bromm dell’Università del Texas, uno dei più grandi esperti teorici della struttura e delle caratteristiche delle prime stelle.
«La trasformazione dall’Universo primordiale a quello attuale è dipeso moltissimo dalla massa delle prime stelle», continua Bromm. Fu la fusione nucleare all’interno di quelle stelle, infatti, a originare gli elementi più pesanti che conosciamo oggi, come il carbonio, l’ossigeno, il magnesio e il ferro.
Quelle stesse stelle - nel momento in cui morirono - esplosero come supernovae e ciò generò altri elementi ancora più pesanti che andarono a permeare tutto lo spazio e a fornire nuovo materiale per la nascita di stelle di nuova generalzione. La seconda generazione di stelle nacque infatti da materiale che, oltre ad avere idrogeno ed elio, possedeva già gli elementi più pesanti forgiati dalle stelle di precedente generazione.
La stella scoperta dall’astronomo giapponese possiede una quantità di ferro almeno 1000 volte inferiore rispetto alle stelle di seconda generazione e da ciò si è dedotto che essa doveva appartenere alla prima generazione.
UNA FINE PARTICOLARISSIMA. In realtà però, ciò che l’astronomo giapponese ha osservato non è la vera e propria stella così come splendeva nel passato, perché stelle di questo genere si potrebbero osservare in galassie vecchissime e quindi lontanissime da noi. Per questo ci vorranno telescopi molto più potenti di quelli attuali.
Cosa ha visto allora Aoki? Ciò che rimane di una stella esplosa. Generalmente quando stelle molto massicce terminano la loro vita si trasformano in supernovae, le quali a loro volta generano un buco nero e quindi la maggior parte del materiale prodotto dall’esplosione finisce all’interno del buco nero.
Ma stelle estremamente massicce, ossia con massa almeno 100 volte superiore a quella solare, quando esplodono non originano un buco nero ma disperdono tutto ciò che le componeva nello spazio circostante.
Studiando oggetti come questi, che a dire il vero sono estremamente rari, Aoki ha messo in luce la presenza di quel che era un’antichissima stella esplosa con pochissimo ferro e quindi primordiale.
A caccia di vere stelle. Stabilito che la teoria coincide con quanto ha messo in luce la scoperta ora si aprono nuove strade per cercare vere stelle antichissime e questo si potrà fare con la messa in orbita del successore del telescopio Hubble, il Webb Space Telescope, o grazie a telescopi da 30 metri di diametro che si costruiranno nei prossimi anni. Poter studiare stelle antichissime permetterà di comprendere meglio come l’idrogeno si è aggregato in stelle e quindi come è evoluto l’Universo primordiale.