I diamanti incapsulati in un meteorite esploso sopra il Deserto Nubiano (in Sudan) nel 2008 potrebbero essersi formati in un pianeta "perduto", che orbitava intorno al Sole alle origini della nostra famiglia celeste.
La maggior parte dei frammenti rocciosi che piombano sulla Terra dallo Spazio proviene, si pensa, da asteroidi che non hanno mai raggiunto dimensioni planetarie. Ma nuove analisi al microscopio dei resti del meteorite di Almahata Sitta, esploso e piovuto sulla Terra dieci anni fa, fanno pensare a un'origine diversa: ai frammenti di pianeta roccioso che non esiste più. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications.
Capsula del tempo. Da tempo si ipotizza che nei primi 10 milioni di anni dalla sua formazione, il Sistema Solare fosse popolato di decine di pianeti di varie dimensioni, dalle cui fusioni o collisioni sarebbero nati i corpi celesti che conosciamo. Se quest'ultima ricerca di archeologia spaziale fosse confermata, il meteorite di Almahata Sitta sarebbe il primo reperto noto di uno di questi proto-pianeti.
Una lunga catena di indizi. La roccia precipitata nel Deserto Nubiano fu tra le prime a essere monitorate con i telescopi, mentre rientrava sulla Terra: fu così possibile recuperarne 480 frammenti, per un totale di ben 4 kg di materiale celeste. Le prime analisi rivelarono una composizione mineralogica molto diversa da quella delle rocce lunari o marziane: si trattava di una urelite, un raro tipo di sasso spaziale, ad alta percentuale di carbonio. Si iniziò così a sospettare una provenienza "esotica", ma mancavano prove convincenti.
Gli scienziati passarono quindi all'analisi dei diamanti contenuti nei frammenti di roccia. Anche altri meteoriti comprendono cristalli di diamanti, ma in genere hanno dimensioni di pochi milionesimi di millimetro: il risultato, si pensa, di collisioni con altri massi spaziali. Ma nel 2015 gli scienziati della Scuola Politecnica Federale di Zurigo si accorsero che i diamanti nel meteorite di Almahata Sitta erano molto più grandi: raggiungevano i 100 micrometri di lunghezza (più spessi di un capello) - troppo, per essere il risultato di un semplice scontro tra asteroidi.
Le ultime analisi appena pubblicate hanno fornito un'ultima prova, ancora più evidente. Gli scienziati svizzeri hanno trovato, nei diamanti dei frammenti precipitati in Sudan, tracce di solfuri ferrosi, che si pensa si formino solo a pressioni superiori ai 20 gigapascal: le stesse che si registrano oggi nel nucleo di Mercurio, o la metà di quelle presenti nel cuore di Marte.
Nuove domande. I meteoriti nubiani potrebbero quindi essersi formati in un pianeta di dimensioni comprese tra quelle di questi due corpi celesti: uno dei primi oggetti ad aver orbitato intorno al Sole, probabilmente poi finito in briciole.
Ma se così fosse, dove sono gli altri resti di un corpo celeste così grande? La ricerca continua.