Spazio

Nel sistema di Giove: la sonda Juno a metà missione

Fino a questo momento la missione della Juno è un successo: i dati inviati sul gigante gassoso confermano molte ipotesi e aprono nuovi filoni di ricerca.

La sonda Juno (Nasa) è al giro di boa di metà missione nel sistema di Giove, dov'è arrivata all'inizio di luglio del 2016. Lo scorso 21 dicembre, nel corso del suo diciassettesimo flyby, la navicella si è avvicinata fino a 5.053 chilometri al di sopra della densa coperta di nuvole di Giove: per la sonda, che attualmente orbita attorno al gigante gassoso in 53 dei nostri giorni, è stato il passaggio più ravvicinato finora completato, passando per il suo perijove, termine che indica il punto dell'orbita di un satellite (perciò per Juno e per tutti i satelliti di Giove) più vicino al pianeta.

Inizialmente la sonda avrebbe dovuto orbitare attorno a Giove ogni 14 giorni, ma pochi giorni dopo l'entrata in orbita venne rilevata una anomalia alle valvole dell'elio del motore principale - valvole identiche a quelle con cui era equipaggiata una precedente sonda, giapponese, e che causarono il fallimento della missione. Queste valvole entrano in attività all'accensione del motore, perciò, non volendo rischiare, la Nasa decise di non accendere i propulsori per spostare la sonda, lasciandola nell'orbita di arrivo, "lunga" appunto 53 giorni.

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Immagini dell'atmosfera di Giove. © Nasa

I treni di onde. Gli strumenti di bordo hanno dimostrato di resistere bene alle forti radiazioni prodotte dal pianeta e, se non ci saranno problemi, la sonda riuscirà ad arrivare a fine missione, prevista per luglio del 2021.

In questi due anni e mezzo di lavoro sui dati della sonda sono state fatte numerose scoperte e ottenute molte conferme: «Basta quello che abbiamo già scoperto per dover riscrivere quasi tutto quello che credevamo di sapere sull'atmosfera di Giove e sulla complessità del suo campo magnetico», afferma Scott Bolton, responsabile scientifico di Juno.

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Il gran turbinio di cicloni nell'alta atmosfera di Giove: una foto del Pianeta Gassoso del Sistema Solare scattata dalla sonda Juno il 16 dicembre 2017. Vedi Sopra le nuvole di Giove. © Nasa

Particolarmente intrigante è ciò che siamo riusciti a capire dei treni d'onda nell'atmosfera di Giove, visti per la prima volta dalle Voyager 1 e 2 nel 1979. Quelle informazioni erano però molto limitate, mentre dai dati di Juno è stato possibile ricavare molto di più. «Abbiamo contato innumerevoli treni d'onda, con creste distanziate tra loro da 65 a 1.200 chilometri. Studiando le ombre proiettate da queste strutture abbiamo scoperto che in alcuni casi la loro altezza arriva anche a 10 chilometri», racconta Glenn Orton, del JPL.

Il come si formano è invece ancora tutto da capire. Alcuni treni d'onda sembrano convergere, altri sovrapporsi come se fossero su livelli diversi dell'atmosfera. In un caso è stato osservato un treno d'onda irradiarsi verso l'esterno dal centro di un ciclone. Per la seconda fase della missione di Juno sono comunque previsti lo studio più approfondito dei venti, oltre che di ciò che genera il suo campo magnetico.

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La Grande Macchia Rossa fotografata dalla sonda Juno. © Nasa

I fulmini. Juno ha permesso di confermare e studiare anche un altro particolare fenomeno atmosferico rilevato a suo tempo dalla Voyager 1: i fulmini, che «si comportano come trasmettitori radio ed emettono onde quando attraversano l'atmosfera», spiega Shannon Brown, del JPL. In questa prima parte di missione, nelle zone osservate, la sonda ha "contato" 373 fulmini, segno che si tratta di fenomeni caratteristici e tipici dell'atmosfera gioviana.

Sul gigante gassoso i fulmini si concentrano soprattutto attorno ai poli, al contrario di quanto avviene sulla Terra, dove la maggiore concentrazione si ha in prossimità dell'equatore. C'è una prima spiegazione, che si basa anche sul fatto che sulla Terra il calore - primo tassello della catena di eventi che porta ai fulmini - è per la gran parte quello della radiazione solare, più concentrata nella regione equatoriale. Al contrario, su Giove, è l'interno del pianeta che genera la maggior parte del calore atmosferico, e ciò è più evidente in particolare nelle regioni polari, perché nelle regioni equatoriali del gigante gassoso la radiazione solare si fa sentire di più, riuscendo a inibire o a ridurre i moti atmosferici innescati dal pianeta, riducendo così anche i fulmini.

4 febbraio 2019 Luigi Bignami
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