Il centesimo anniversario dell'allunaggio potrebbe segnare una nuova impresa nell'esplorazione spaziale: secondo quanto riportato dal New Scientist, il 2069 sarebbe stato scelto come data simbolica per la partenza della prima missione interstellare.
Il progetto presentato dagli scienziati del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della Nasa alla 2017 American Geophysical Union conference di New Orleans, il 12 dicembre scorso, è talmente nuovo e ambizioso da non avere ancora un nome. Per ora c'è un'idea di base - inviare una sonda nell'orbita del più vicino esopianeta, in cerca di altre forme di vita - ma manca la tecnologia per attuarla.
L'idea iniziale. L'impulso a puntare così in alto (e lontano) è partito da una duplice richiesta politica avanzata alla Nasa nel 2016 e mai divenuta legge: quella di studiare un mezzo di trasporto interstellare che possa arrivare al 10% della velocità della luce, e usarlo per raggiungere Alpha Centauri, il sistema stellare più vicino a noi (a 4,3 anni luce). Con la tecnologia che abbiamo oggi, infatti, per completare un viaggio del genere occorrerebbero centinaia di migliaia di anni.
Linee guida. Gli scienziati del JPL hanno preso il compito sul serio, e hanno provato a stilare una prima lista di obiettivi: caratterizzare l'atmosfera dell'esopianeta "bersaglio" (uno potrebbe essere Proxima b), cercarvi segni di strutture artificiali, modificazioni del paesaggio ed emanazioni luminose. Durante il viaggio si potrebbero testare le proprietà di materia e radiazioni che si incontrano e verificare la validità della teoria della relatività generale.
Per raggiungere la velocità auspicata si potrebbe far ricorso a metodi di propulsione basati su collisioni materia-antimateria, alla propulsione nucleare o a vele spinte da raggi laser come quelle pensate dall'iniziativa Breakthrough Starshot (ne abbiamo scritto qui): tutte tecnologie al momento non disponibili.
Come Star Trek. La più interessante è quella che sfrutterebbe l’annichilazione di materia e antimateria, cioè l’energia che si libera quando particelle di materia si incontrano con le loro “gemelle diverse” dell’antimateria, che hanno uguale massa ma opposta carica elettrica. L’incontro tra un atomo di idrogeno e uno di anti-idrogeno provoca un lampo di energia che fa sembrare la fusione nucleare un fuocherello. Il problema è produrre antimateria (sulla Terra riusciamo a farlo con grandissima difficoltà negli acceleratori di particelle), e poi tenerla separata dalla materia fino al momento giusto.
Una strada per riuscirci si trova in uno studio del 2003 di Steven Howe e Gerald Jackson, del Fermilab di Chicago. I due ricercatori hanno immaginato un serbatoio composto da una serie di celle, ognuna contenente un pacchetto di atomi di anti-idrogeno separati dal resto da un campo elettrico; il serbatoio è collegato a una fonte di energia elettrica, che periodicamente provoca una scarica e fa uscire dalle celle un po’ di carburante, indirizzandolo verso una “vela” in carbonio ricoperta di uranio.
Quando l’anti-idrogeno incontra l’uranio, si ha l’annichilazione, che produce una spinta sulla vela.
Secondo i due ricercatori, con un motore di questo tipo basterebbero 17 grammi di anti-idrogeno per arrivare ad Alpha Centauri in 40 anni, raggiungendo una velocità pari a un decimo di quella della luce. Il problema è che 17 grammi sono enormemente più di tutta l’antimateria finora prodotta sulla terra. Inoltre, anche se si riuscisse a realizzare un motore così, rispunterebbe un problema politico analogo a quello del nucleare. Perché, in linea di principio, l’antimateria è terribilmente efficace anche come arma.
Ultimi ostacoli: frenare. Ammesso che si raggiunga il sistema stellare, puntare all'orbita di un esopianeta richiederebbe decine di anni in più per frenare e manovrare la sonda. La missione finirebbe per durare alcuni secoli.
Ma sognare non costa nulla. Soprattutto, perché applicarsi a un obiettivo così ambizioso, potrebbe servire a migliorare l'esplorazione del nostro sistema solare e a rendere più veloce raggiungere Marte.