Se avete mai avuto bisogno di liberarvi di una chiazza di muffa da un angolo di casa sapete già quanto sia difficile, perciò non faticherete a capire quanto sia molto più difficile liberarsene sulla Stazione spaziale internazionale, dove per di più non si possono aprire finestre per arieggiare...
Alla conferenza internazionale di astrobiologia, l'AbSciCon 2019, appena conclusa a Bellevue (Washington), un gruppo di ricercatori del German Aeospace Center (DLR) di Colonia ha riportato che alcuni tipi di spore che hanno colonizzato la Iss sembrano in grado di sopravvivere a dosi di radiazioni 200 volte più intense del livello considerato mortale per un essere umano, e che non è da escludere - affermano i ricercatori - una qualche influenza negativa sulla salute degli astronauti.
Marta Cortesão (DLR), coordinatrice dello studio, riferisce che «sulla Ssi è presente in abbondanza l'Aspergillus niger, una muffa comune dei funghi del genere Aspergillus. È la cosiddetta muffa nera, che può disperdere nell'ambiente aflatossine e provocare disturbi delle vie respiratorie. La muffa è stata bombardata con una dose di radiazioni simile a quella che si riceverebbe su Marte, e a quella che subirebbe un'astronave in viaggio verso il Pianeta Rosso... e abbiamo scoperto che sopravvive al trattamento». Nel loro lavoro i ricercatori hanno infatti mostrato come la muffa possa sopravvivere a dosi di radiazioni che vanno da 500 a 1.000 gray senza colpo ferire.
Il gray (Gy) è la misura della dose assorbita per chilo di materia (biologica o altro): se un uomo fosse esposto a una dose di 0,5 gray inizierebbe ad avere seri problemi, e morirebbe se la dose superasse i 5 gray. «Le spore sono invece sopravvissute tranquillamente», aggiunge Marta Cortesão, «anche a intense radiazioni ultraviolette ad alta energia, che sono comunemente utilizzate come sterilizzante negli ospedali e che sono già state proposte per sterilizzare le superfici della Stazione spaziale».
Come evitare di fare danni su altri pianeti? La ricercatrice sottolinea che il lavoro si è concentrato soprattutto sulle radiazioni, senza tenere conto di altri aspetti del "duro" ambiente dello Spazio esterno che, forse, potrebbero uccidere le muffe, anche se (ha ricordato) uno studio precedente sulle spore delle muffe era giunto alla conclusione che sono in grado di sopravvivere senza problemi anche nel vuoto dello Spazio.
«È tempo di studiare a fondo il problema, perché queste spore ce le porteremo dietro ovunque andremo nel Sistema Solare», afferma Andrew Schuerger, microbiologo e astrobiologo dell'Università della Florida: «questo studio è di enorme interesse, perché fino ad oggi la maggior parte degli sforzi per evitare la contaminazione di altri mondi con organismi terrestri si è concentrata sui batteri.
È giunto il momento di considerare anche il complesso problema delle muffe e di ciò che potrebbero causare se per sbaglio li portassimo su un altro pianeta.»
Si torna a parlare di panspermia. Lo studio del team del DLR arricchisce anche la discussione sull'origine della vita. Per Paul Mason, astrobiologo presso la New Mexico State University, «la vita sulla Terra sembra passata da un "prebiotico", ossia precedente alla comparsa sulla Terra di veri e propri organismi viventi, ad organismi complessi in un periodo di tempo troppo breve, almeno stando a quello che conosciamo. Ecco che pensare a organismi che si sono formati "altrove" e che sono arrivati sulla Terra a colonizzarla è ancora la spiegazione più semplice, a maggior ragione adesso che cominciamo a comprendere la resistenza di alcuni microrganismi allo Spazio siderale».