Spazio

Morto l’astronauta John Young

John Young, uno dei dodici uomini a mettere piede sulla Luna, è morto all'età di 87 anni. A bordo del primo volo del programma Gemini e del primo volo del programma Shuttle, è stato nello spazio per ben 6 volte, prima di chiunque altro.

John Watts Young, un uomo che definire soltanto astronauta è riduttivo, è morto il 5 gennaio 2018. Dal marzo del '65 al dicembre dell'83, andò per ben sei volte nello spazio, fu il primo uomo a raggiungere questo traguardo. La sua carriera è costellata di missioni da pioniere: dai test in aviazione al primo volo con equipaggio della capsula Gemini, dalla missione apripista all'Apollo 11 al primo volo dello Space Shuttle.

John Young (a destra) e Gus Grissom furono i primi uomini a volare con una capsula Gemini. La loro tuta, introdotta nel 1963, è la prima tuta spaziale vera e propria. © Nasa

Primo di 12 gemelli. Young rimarrà nella storia per aver camminato sulla Luna, fu inoltre una delle sole tre persone ad aver viaggiato per due volte verso il nostro satellite (le altre due sono Eugene Cernan e Jim Lovell).

Ma la sua carriera da astronauta comincia col programma Gemini, fu infatti a bordo della prima missione (su 12 totali) con equipaggio. A differenza del precedente programma Mercury, il Gemini prevedeva che le navicelle ospitassero due persone ed effettuassero rendezvous, ovvero "incontri spaziali" con altri oggetti in orbita.

Inoltre furono le prime missioni a permettere le passeggiate spaziali, in quanto gli astronauti avevano per la prima volta una tuta che fungeva da vera e propria navicella spaziale.

Il modulo lunare
Dal modulo di comando "Charlie Brown" (in orbita attorno alla Luna) John Young scatta questa foto del modulo lunare "Snoopy" in avvicinamento verso la superficie lunare. A bordo di quella capsula ci sono i suoi due compagni di viaggio della missione Apollo 10. © Nasa

La terza missione spaziale di Young fu l'Apollo 10, la seconda (dopo Apollo 8) ad orbitare attorno alla Luna.

Fece quindi parte del secondo equipaggio a vedere coi propri occhi il lato nascosto del nostro satellite.

La missione fu essenziale per testare il distacco e il riaggancio del modulo lunare prima di Apollo 11.

A Young toccò il ruolo che poi spettò a Collins: rimanere in orbita ed aspettare il ritorno dei compagni di viaggio.

Tuttavia la missione Apollo 10 non prevedeva che il Lem toccasse la Luna, quindi Young non ebbe grossi motivi per invidiare i colleghi. Anche perché, anni dopo, riuscì anche lui a mettere piede sul suolo lunare.

Il 12 aprile 1981 decolla il primo volo del programma Space Shuttle. A bordo si trovano solo John Young (a sibistra) e Robert Crippen. Qui li vediamo durante un test nell'abitacolo del Columbia, rivolti verso la sua pancia.
All’epoca lo Shuttle disponeva di sedili ejettabili che permettevano ai due membri dell'equipaggio (non erano ancora 7, come nelle ultime missioni) di abbandonare il velivolo in caso di emergenza durante le fasi di decollo o rientro. Dopo i primi 4 voli di test, lo Space Shuttle inizia la fase operativa del programma e comincia a mettere in orbita satelliti acquisendo velocemente il monopolio del mercato statunitense per i lanci di satelliti, sia pubblici che privati, militari o civili. © Nasa

In seguito, nell'aprile 1981, pilotò il primo volo dello Space Shuttle (missione STS-1): una missione di rischio assoluto su un velivolo sperimentale che non aveva mai volato prima nello spazio. Tornò per l'ultima volta nello spazio nel 1983, di nuovo con lo Space Shuttle (STS-9), per portare in orbita per la prima volta lo spacelab, un laboratorio per effettuare esperimenti in condizioni di microgravità.

Era l’uomo dei voli doppi: due Apollo, due Shuttle e, a inizio carriera, due Gemini (3 e 10).

Come racconta Paolo Attivissimo:

Gli aneddoti sulla vita di John Young sono talmente tanti che rasentano l’improbabilità romanzesca. Durante la missione Gemini 3, nel 1965, portò a bordo di nascosto un vietatissimo tramezzino di carne e se lo mangiò in barba a tutte le norme della NASA. Durante la sua escursione lunare, si fece fotografare dal collega Charlie Duke per il tradizionale saluto alla bandiera mentre saltava sulla Luna. Contribuì a salvare gli astronauti di Apollo 13, coordinando sulla Terra il lavoro per improvvisare un filtro per l’aria usando solo i materiali presenti nel veicolo spaziale.

Riassunse così le domande sulla paura degli astronauti nel 1981 per lo Shuttle: “Chiunque si sieda in cima al sistema a propellente idrogeno-ossigeno più grande del mondo, sapendo che stanno per accenderne il fondo, e non si preoccupa un pochino, non capisce pienamente la situazione.”

Era ammirato dai suoi colleghi per la sua competenza, la sua schiettezza (la sua critica della NASA dopo il disastro dello Shuttle Challenger fu implacabile), la sua calma glaciale nelle condizioni più impegnative (90 pulsazioni al minuto durante il suo allunaggio; Neil Armstrong arrivò a 150) e il suo senso dell’umorismo secco e tagliente (“La cosa più pericolosa che facciamo a Houston è andare al lavoro in auto ogni giorno”).

Oltre a lavorare per la NASA come consulente aerospaziale dopo le sue sei missioni, si era dedicato alla salvaguardia dell’ambiente (“Se vuoi vedere una specie in pericolo, alzati e guardati allo specchio”; “La storia geologica della Terra è piuttosto chiara: dice, molto francamente, che le specie monoplanetarie non durano. In questo momento noi siamo una specie monoplanetaria. Dobbiamo rimediare”).

La sua biografia, Forever Young, è ricca di storie ed esperienze straordinarie.

Negli ultimi anni si era ritirato a vita privata, dopo aver lasciato la NASA a 74 anni. La sua scomparsa riduce a cinque gli astronauti che hanno camminato sulla Luna e sono ancora tra noi.

7 gennaio 2018 Davide Lizzani
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