È opinione comune che molti asteroidi siano una miniera di metalli preziosi, utili e rari, tanto che l'estrazione spaziale potrebbe diventare in futuro un business al pari dell'odierna estrazione petrolifera. Per aprire la strada verso questa nuova e pericolosa frontiera si pensa alla bioestrazione (biomining), che impiega batteri e funghi per estrarre metallo da minerale grezzo - metodo col quale oggi al mondo si estrae il 15% di tutto il rame, per esempio.
La bioestrazione viene usata dagli anni '50 per attività minerarie in siti considerati esauriti per le attività tradizionali e per la decontaminazione di terreni industriali, in presenza di sostanze tossiche. Come minatori, questi microrganismi funzionano bene con molti metalli, dall'oro all'uranio, in genere solubilizzandoli e separandoli così dal grezzo.
Nessuno però sa come si comporterebbero in assenza di gravità.
Per scoprirlo, un team di astrobiologi delle Università di Edimburgo (Scozia) e Stanford (Usa) ha studiato una serie di esperimenti da condurre nello Spazio. Così, particolari batteri e funghi, separati in 18 contenitori, sono approdati sulla Stazione spaziale internazionale, dove, in microgravità, saranno nutriti a base di varie rocce basaltiche simili a quelle tipiche di Marte e della Luna.
Lo studio mira innanzi tutto a capire se è possibile utilizzare la bioestrazione nello Spazio, ma, afferma l'astrobiologa Rosa Santomartino (Università di Edimburgo), potrà anche dare informazioni più generali sia su come si possono usare i batteri nello Spazio, sia sulla loro evoluzione sulla Terra.