Non demorde Avi Loeb, astrofisico e cosmologo dell'Università di Harvard. Il fondatore del Progetto Galileo, che vuole dare la caccia a indizi di "firme tecnologiche" di civiltà extraterrestri, annuncia che le sferette raccolte nei mesi scorsi sul fondale marino al largo della costa della Papua Nuova Guinea provengono dal di fuori del nostro sistema solare.
Non è il nostro sole. I frammenti facevano parte di una roccia che, prima di "tuffarsi" nel Pacifico, aveva attraversato anni luce di spazio dalla sua origine attorno ad una stella che non è il nostro Sole.


Sebbene la conclusioni debbano ancora essere opportunamente riviste da altri ricercatori, quanto afferma Loeb sta già creando un acceso dibattito nella comunità scientifica, divisa tra chi è entusiasta delle conclusioni di Loeb e chi invece, sostiene che stia prendendo un abbaglio.
Come è iniziato. Per capire come il professore sia giunto a tale conclusione vale la pena ricordare che tutto è iniziato con l'arrivo di una meteora, che venne tracciata dai satelliti del governo statunitense prima di finire nell'Oceano Pacifico, nel 2014. L'insolita velocità della meteora, classificata CNEOS 2014-01-08 (o più semplicemente IM1), troppo elevata, era incompatibile con quella di un oggetto in orbita attorno al Sole nel nostro sistema solare e attirò l'interesse di vari ricercatori, in particolare di Loeb.
Lo scienziato, che già qualche anno fa fece discutere sostenendo che Oumuamua potesse essere una sonda extraterrestre, ha guidato lo scorso giugno una spedizione alla ricerca dei resti di IM1. Utilizzando una serie di potenti magneti, i membri del suo gruppo di ricerca hanno setacciato i fondali dell'oceano dove si presumeva che fosse caduta la meteora e alla fine hanno raccolto centinaia di minuscole sfere di diametro compreso tra 0,05 e 1,3 millimetri da un sedimento che si trova a circa 2 chilometri di profondità, 85 chilometri a nord dell'isola di Manus.
Prima analisi. Una valutazione preliminare effettuata su 57 di queste sferette da parte dei ricercatori dell'Università di Harvard (USA) suggerisce che almeno alcune di esse presentano una composizione chimica non che ci aspetteremmo da campioni di meteore del nostro Sistema Solare.
Questo alimenterebbe l'ipotesi che IM1 abbia attraversato lo spazio interstellare prima di solcare l'atmosfera del nostro pianeta: in altre parole, dunque, proverrebbe da un altro sistema solare.
«Si tratta di una scoperta storica», sostiene Charles Hoskinson, imprenditore americano che ha contribuito a finanziare la spedizione, «perché è la prima volta che l'uomo tiene tra le mani materiali provenienti da un oggetto interstellare e sono estremamente soddisfatto dei risultati di questa rigorosa analisi scientifica".
Ricca di metalli. Le analisi hanno infatti determinato che le sfere sono fortemente ricche di metalli berillio (Be), lantanio (La) e uranio (U), con una concentrazione che non è mai stata osservata prima in nessun meteorite.
Se i risultati di questi primi lavori verranno confermati, questo sarà un punto a favore per l'idea, sempre più in voga in questi anni, che vorrebbe che vi sia un costante scambio di materiali rocciosi tra le stelle. Questa ipotesi sostiene che oggetti in orbita attorno ad una stella qualunque potrebbero essere lanciati con una forza sufficiente da farli finire nell'orbita di un'altra stella e ciò con una frequenza abbastanza regolare.
In termini cosmici, tuttavia, il termine "regolare" potrebbe rendere l'arrivo di un simile oggetto comunque abbastanza raro per l'osservazione umana.
suggestione e.t. Seppur non detto in modo esplicito, Loeb lascia aperta l'ipotesi che il materiale trovato possa appartenere addirittura a qualche tipo di tecnologia aliena, ma attualmente si vuole per prima cosa capire se l'ipotesi della provenienza extrasolare sia reale. Solo dopo si cercherà di capire se quel materiale è naturale o artificiale.