Quando immaginiamo le prime missioni umane su Marte sentiamo talvolta dire: e se il primo astronauta a mettervi piede, fosse una donna? La domanda appare oggi quasi retorica, ma poniamola in questa versione: e se il primo astronauta sulla Luna, fosse stata una donna?
La possibilità ci fu, ma la Nasa fece di tutto affinché non si realizzasse. Un documentario disponibile da oggi su Netflix - Mercury 13 - racconta la storia di 13 aspiranti astronaute che all'inizio degli anni '60 si dimostrarono capaci di superare gli stessi test fisici e psicologici affrontati dai colleghi maschi (in alcuni casi anche ottenendo prestazioni migliori), ma che non furono mai considerate papabili candidate al volo spaziale dalla Nasa.
La loro vicenda riempie un tassello importante nella storia della corsa allo Spazio. Si consumò negli anni - dal 1958 al 1963 - in cui la Nasa lavorava al Programma Mercury, il primo a prevedere missioni spaziali con equipaggio, che avrebbe consacrato, nel 1961, l'astronauta Alan Shepard come primo americano nello Spazio. Mentre gli USA si affacciavano all'era dell'esplorazione celeste, i candidati a partire non mancavano: piuttosto, si poneva il problema di come, e di chi, selezionare.
i promotori. In questo contesto si inserì l'iniziativa di William Randolph Lovelace II, un medico americano laureato ad Harvard e appassionato di aviazione, che aiutò a mettere a punto i vari esperimenti e le linee guida per la scelta dei più promettenti piloti da trasformare in astronauti per il programma Mercury.
Lovelace era amico di Jacqueline Cochran, un'aviatrice statunitense pioniera del volo e detentrice di record internazionali, prima donna a rompere il muro del suono, ad aver pilotato un bombardiere e ad aver attraversato l'Atlantico su un aereo a reazione. Fu forse questo legame, insieme alla consapevolezza che il fisico femminile, più minuto e compatto, sembrava più adatto alle prime capsule spaziali degli inizi, a convincere Lovelace a iniziare un programma di selezione privato su astronaute donne, non riconosciuto dalla Nasa (con la quale però continuava a collaborare).
Non da meno. Il programma prevedeva di sottoporre le candidate alla stessa batteria di test in tre fasi - fisici, psicologici e di simulazione spaziale - affrontati dai piloti uomini. La prima batteria includeva prove durissime e al limite della sopportazione fisica, che però 13 donne, scelte tra centinaia di profili e su una ventina di candidate finali, superarono egregiamente.

La prima fu Geraldyn ("Jerrie") M. Cobb, una pilota che nel 1959, a 28 anni, era già dirigente nell'industria aeronautica e aveva alle spalle diecimila ore di volo - sebbene non su jet da combattimento, perché l'accesso alla carriera militare era all'epoca ancora precluso alle donne.
Le altre furono Myrtle Cagle, Janet Dietrich, Marion Dietrich, Wally Funk, Sarah Gorelick, Janey Hart, Jean Hixson, Rhea Hurrle, Gene Nora Stumbough, Irene Leverton, Jerri Sloan, Bernice Steadman: donne dai 23 ai 41 anni, piloti con almeno 1.000 ore di volo alle spalle, più di quelle segnate nel curriculum di alcuni astronauti poi scelti per il programma Mercury.
Alcune di queste candidate - denominate Mercury 13 o Fellow Lady Astronaut Trainees - passarono anche la fase II (con test psicologici e sessioni in vasche di deprivazione sensoriale). Jerrie Cobb superò anche la fase III, condotta su attrezzature militari.


Accesso bloccato. Quando però fu il momento degli ultimi test, che richiedevano il vaglio dei medici militari della Scuola Navale di Medicina Aeronautica, in Florida, la marina militare non accettò le candidate, in assenza di un'autorizzazione ufficiale della Nasa. A nulla valsero i tentativi di Cobb e colleghe di scrivere al Presidente Kennedy e al vicepresidente Johnson, per essere ricevute, o di far indire un'audizione pubblica davanti a un Comitato del Congresso americano, nel 1962.
In questa circostanza, si rivelò determinante la testimonianza della Cochran, che in un inatteso cambio di casacca dichiarò che la presenza di astronaute donne avrebbe potuto danneggiare la Nasa nella corsa allo Spazio. L'anno successivo, Mosca avrebbe spedito in orbita Valentina Vladimirovna Tereškova, prima donna nello Spazio. L'iniziativa di Lovelace si arenò in questa lotta per la parità di genere, per cui i vertici militari e la Nasa non erano ancora pronti. Sally Ride, prima americana nello Spazio, sarebbe stata lanciata soltanto 20 anni più tardi, nel 1983.