Le condrule sono sferule di dimensioni medie comprese tra 0,1 a 4 mm, talvolta ellissoidali, di silicati in vario stato di cristallizzazione, talvolta inclusi in vetro, che si trovano disseminate all'interno delle meteoriti più comuni, le cosiddette condriti. Finora non si era stati in grado di spiegare il meccanismo alla base dell’origine di queste sferule vetrose e l’unica certezza era che la loro formazione dovesse risalire alle primissime fasi di aggregazione delle polveri presenti nella nebulosa primordiale protoplanetaria.
Origine misteriosa. L’origine delle condrule è un enigma di lunga data. È da più d’un secolo che questi grani vetrosi presenti delle meteoriti vengono analizzati, senza mai riuscire a giungere a una conclusione convincente e condivisa circa la loro formazione. Fra le ipotesi più recenti, c'è persino quella che a generare le alte temperature necessarie a liquefare la roccia siano stati i campi magnetici originati dal giovane Sole e presenti nel disco protoplanetario primordiale.
L'enigma sembra essere stato risolto. Ebbene, adesso, un gruppo di ricercatori statunitensi coordinato da Brandon Johnson del Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences del Massachussets Institute of Technology (MIT), ha messo a punto un modello secondo il quale, per spiegare la formazione delle condrule e la loro abbondanza, sarebbero sufficienti gli impatti fra planetesimi (i piccoli corpi planetari formatisi dalla condensazione della nebulosa circumsolare) avvenuti durante i primi 5 milioni di anni dell’accrescimento planetario, senza dover quindi ricorrere a ipotesi molto complesse.
Un'origine violenta. Le condrule, quindi, non sarebbero i “mattoncini” primordiali da cui si sono formati i pianeti, come si pensava finora, ma sarebbero stati i piccoli corpi planetari appena aggregatisi che collidendo tra di loro le avrebbero formate. Cioè il contrario di quanto ritenuto finora.
Per la precisione, l’impatto fra planetesini di grandi dimensioni, nell’ordine dei 10 km di diametro avrebbe creato le condrule. Se l’impatto si verifica a velocità di almeno 2,5 km/s, valore che si pensa fosse quella tipico delle collisioni tra planetesimi, il materiale roccioso raggiunge, nella regione circostante la zona di collisione, temperature sufficienti a fondere la roccia e ad espellerla sotto forma di getti liquidi. Questi schizzi di roccia fusa, a loro volta, disperdendosi nello spazio, danno origine a goccioline di dimensioni millimetriche, le quali si sarebbero poi raffreddate ad una velocità compresa fra i dieci e i mille gradi all’ora, compatibilmente con quanto richiesto per produrre condrule come quelle effettivamente osservate nelle meteoriti.
Scienziati guardoni. «Comprendere il processo alla base della formazione delle condrule è un po’ come guardare attraverso il buco della serratura: anche se non ci permette di vedere tutto ciò che accade dietro alla porta, ci offre una visione chiara di una porzione dell’altra stanza, che nel nostro caso equivale a uno sguardo agli albori del Sistema Solare», spiega Jay Melosh, uno dei coautori dello studio.
«Ciò che abbiamo riscontrato è che il modello basato sugli impatti descrive assai bene ciò che sappiamo di questo materiale unico e del Sistema Solare primordiale. Dunque, al contrario di quello che ritiene la maggior parte degli esperti di meteoriti, gli asteroidi (da cui provengono le meteoriti) non sono i resti del materiale dal quale hanno preso forma i pianeti».
Meteoriti sorpassati. Una conclusione, questa, che andrebbe a intaccare il ruolo fino a oggi giocato dalle meteoriti nello studio della formazione planetaria. «Le condriti sono state ritenute a lungo un materiale simile a quello che ha dato origine ai pianeti. Quel che emerge dal nostro studio è invece che le condrule potrebbero non essere altro che un sottoprodotto degli impatti fra oggetti di una generazione precedente», afferma infatti David Minton, un altro dei coautori della ricerca, «e le meteoriti potrebbero dunque non essere rappresentative del materiale dal quale si sono formati i pianeti».