Se oggi possiamo osservare foto senza precedenti delle aurore australi di Giove, lo dobbiamo a uno dei due strumenti italiani a bordo della sonda che il 4 luglio 2016, dopo tre miliardi di km percorsi, ha agganciato l'orbita del gigante gassoso. JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), è stato appositamente progettato per studiare la dinamica e la chimica delle aurore gioviane nel vicino infrarosso, e poco più di una settimana fa ci ha resistuito immagini luminose e strutturate del noto fenomeno.
Dell'importanza del contributo italiano alla missione - l'altro strumento nostrano a bordo è KaT (Ka-band Translator/Transponder), pensato per analizzare l'interno del pianeta - abbiamo parlato questa mattina nella tappa salernitana dei grandi incontri di Focus a Panorama d'Italia, insieme a Barbara Negri, responsabile dell’Unità Osservazione dell’Universo dell'Agenzia Spaziale Italiana, e all'astronauta Umberto Guidoni.
Sorvegliato speciale. Lo studio delle aurore gioviane va ben oltre il puro fine estetico: questi eventi, molto più violenti degli analoghi terrestri, rivelano informazioni essenziali sul modo in cui la magnetosfera di Giove interagisce con il vento solare. Con un'orbita che la porta sui poli del pianeta ogni 14 giorni, la sonda può osservarle nel dettaglio. Un altro compito di Juno è l'esplorazione del nucleo di Giove, che si sospetta possa essere roccioso o metallico.
Sacrificio estremo. Una missione, quella di Juno, destinata a concludersi nell'arco di 18 mesi: la quantità di radiazioni assorbite dalla sonda difficilmente permetterà che la missione si protragga oltre l'anno e mezzo. All'inizio del 2018, con una manovra kamikaze, l'esploratrice celeste porrà fine al suo viaggio tuffandosi nell'atmosfera gioviana.