Utilizzando telescopi da terra e dallo spazio, un team internazionale di astronomi guidato da Eleonora Troja della University of Maryland – e del quale fa parte anche Roberto Ricci dell’Inaf Ira di Bologna – ha realizzato una fra le descrizioni più dettagliate mai ottenute di un lampo di raggi gamma (Grb, dall’inglese Gamma Ray Burst), le esplosioni più energetiche e violente dell’universo dopo il big bang.
L’evento studiato, denominato Grb160625B, ha rivelato dettagli chiave sui primissimi istanti dell’esplosione – l’innesco, potremmo dire: quella fase che gli esperti chiamano prompt – e sull’evoluzione successiva degli imponenti getti di energia e materia che si formano a seguito del burst. I risultati sono stati appena pubblicati su Nature.
«I gamma ray bursts sono eventi catastrofici», spiega Troja, «legati all’esplosione di stelle con massa attorno a 50 volte quella del Sole. Si tratta d’un processo in grado di rilasciare, nell’arco di un paio di secondi, tanta energia quanta ne emette una stella come il Sole in tutta la sua esistenza. Vogliamo capire come sia possibile».
una particolare inclinazione «Questo Grb è molto più brillante di quelli che osserviamo di solito», aggiunge Ricci. «Infatti, nonostante l’esplosione sia avvenuta a oltre 9 miliardi di anni luce di distanza, per un brevissimo periodo chiunque munito di un semplice binocolo l’avrebbe potuta osservare. Abbiamo capito che la ragione di questa luminosità estrema è in gran parte dovuta al fatto che il getto di energia puntava direttamente verso la Terra».
I risultati ottenuti da Troja e colleghi forniscono le prime risposte ad alcune domande, sulle quali gli astrofisici s’interrogano da tempo, circa l’evoluzione d’un gamma ray burst a partire dal momento del collasso della stella in buco nero. I dati raccolti suggeriscono, anzitutto, che il buco nero dia origine a un intenso campo magnetico – tale da dominare, in questa prima fase, l’energia dei getti. In un secondo tempo, man mano che il campo magnetico cede, lo scettro passa alla materia. La maggior parte degli scienziati che si occupano di gamma ray bursts riteneva che i getti fossero dominati da una delle due componenti soltanto: o dal campo magnetico o dalla materia. I nuovi risultati mostrano invece che entrambi i fattori hanno un ruolo cruciale.
un mistero è risolto Dai dati emerge inoltre l’importanza di un’altra protagonista, la radiazione di sincrotrone. Emessa da elettroni accelerati lungo una traiettoria curva, la radiazione di sincrotrone alimenta la fase iniziale ed estremamente brillante del lampo gamma, quella nota appunto come “fase prompt”.
Per spiegare cosa alimentasse questa fase, gli astronomi hanno per lungo tempo preso in considerazione – oltre alla radiazione di sincrotrone – altri due candidati: la radiazione del corpo nero, dovuta all’emissione di calore da un oggetto, e la radiazione da effetto Compton inverso, prodotta quando una particella carica (per esempio un elettrone) fortemente accelerata trasferisce la sua energia ad un fotone. Alternative ora forse non più necessarie.
«La radiazione di sincrotrone è l’unico meccanismo di emissione che può produrre lo stesso grado di polarizzazione e lo stesso spettro che abbiamo osservato all’inizio del burst», sottolinea infatti Troja. «Il nostro studio offre prove convincenti del fatto che l’emissione prompt dei gamma ray bursts sia guidata dalla radiazione di sincrotrone. Questo è un risultato importante perché, nonostante decenni di studi, il meccanismo fisico che avvia i gamma ray bursts non era ancora stato identificato in modo certo».
osservazione congiunta Oltre ai dati del telescopio spaziale Fermi della Nasa, il primo a rilevare l’emissione gamma di Grb160625b, lo studio si è avvalso delle misure in polarizzazione ottenute con il telescopio Master-Iac (membro della rete russa di telescopi robotici Master), situato all’Osservatorio del Teide, alle Canarie, e da osservazioni in banda ottica mentre la fase prompt era ancora attiva. Sono poi state utilizzate anche osservazioni radio compiute con l’Australia Telescope Compact Array, a nord di Sydney, e con il Very Large Array dell’Nrao americano, in New Mexico.
«Le osservazioni radio, in particolare, sono state importanti per determinare le proprietà dell’esplosione, la geometria e l’orientamento del getto, e capire l’origine del brillantissimo flash ottico», conclude Ricci. «Mentre per ora osserviamo ancora pochi di questi eventi in radio, in futuro esperimenti come Ska (Square Kilometre Array, ndr) potrebbero osservare migliaia di queste esplosioni ogni anno».
Contenuto a cura di Media Inaf