La cancellazione della prima EVA (attività extraveicolare) tutta al femminile - per un cambio di programma dovuto alla non immediata disponibilità di due busti di tute spaziali di taglia medium, ha sollevato un polverone di commenti e sarcasmo: possibile che l'agenzia spaziale americana riesca a vestire due uomini per una attività extraveicolare, ma non due donne?
Per capire meglio che cosa è accaduto, è interessante ripercorrere la storia delle tute spaziali della Nasa, come fa un bell'articolo pubblicato sull'Atlantic. Tuffiamoci allora negli anni '60, quando le donne non indossavano le tute spaziali: le cucivano.
Protezioni componibili. Le tute per gli astronauti del programma Apollo furono cucite, su misura, dalle sarte e dalle artigiane della International Latex Corporation (la stessa che fabbricava i reggiseni della Playtex). Quando però la Nasa dovette concentrarsi sulla fase successiva dell'esplorazione spaziale, quella del programma Space Shuttle, si optò per un approccio più economico. Con un taxi spaziale a disposizione per i viaggi nello Spazio "vicino", era impensabile contare su tute personalizzate. Si decise allora di realizzare pezzi singoli per braccia, gambe e busti che si potessero mischiare a piacimento. Le extravehicular mobility units (EMU) furono prodotte in cinque taglie: extra small, small, medium, large, extra large.
Gli ingegneri dell'epoca pensarono che le donne potessero indossare le stesse tute degli uomini - al massimo nelle misure più piccole. Ma non tennero conto delle differenze nella forma del corpo: a parità di altezza e peso, le donne possono avere fianchi più larghi e spalle più strette, e se una parte di tuta deve coprire fianchi e spalle, è possibile che una donna astronauta debba accontentarsi di un compromesso.
Lo sa bene Peggy Whitson, astronauta della NASA che detiene il record di attività extraveicolari al femminile: 10, in 665 giorni nello Spazio (è l'americana che ha trascorso più tempo in orbita). «Per una donna, compiere passeggiate spaziali è più complicato, soprattutto perché le tute sono di taglie più grandi rispetto alla taglia di una donna media», ha raccontato in un'intervista.
Guardaroba ristretto. Negli anni '90, la riduzione del budget della Nasa portò alle prime rinunce nella produzione di tute: la extra small fu la prima taglia a essere eliminata, e poco dopo fu archiviata anche la small. La maggior parte dei fisici rientrava nelle M e nelle L: ci si sarebbe concentrati su quelle. Le conseguenze di questo cambiamento iniziarono ad emergere nel 2011, dopo la fine dell'era dello Shuttle: se sulla navicella le EVA erano riservate ad alcuni astronauti, sulla ISS tutti devono essere in grado di condurre una attività extraveicolare.
Bel CV. Ma ci entri? La taglia degli astronauti arrivò ad influire sulla possibilità di essere selezionati: «Chi faceva domanda doveva essere più grosso, per essere scelto», racconta Bonnie Dunbar, ex astronauta della Nasa, cinque volte sullo Shuttle. Una situazione simile, ma "al contrario", si era verificata negli anni '60, quando le ridotte dimensioni delle capsule del programma Apollo imponevano la scelta di astronauti non più alti di 1,80 m.
Gli astronauti della NASA di oggi usano ancora tute progettate 40 anni fa. Negli ultimi anni sono stati spesi quasi 200 milioni di dollari (177 milioni di euro) nel progettarne di nuove, ma l'incertezza sui futuri progetti di esplorazione spaziale non aiuta: una tuta per andare sulla Luna è diversa da una per colonizzare Marte.
Sessismo? Non oggi. Sulla vicenda di Christina Koch e Anne McClain ha pesato questo retaggio di un tempo in cui le donne astronaute erano cosa rara (la prima della Nasa, Sally Ride, volò nel 1983). Senza dimenticare che il corpo in orbita si modifica in modi non perfettamente simulabili in fase di addestramento: un fatto che influisce sulla vestibilità delle tute e che può costringere a cambiare programma, per la sicurezza degli astronauti.