Spazio

Due buchi neri al centro del quasar più vicino alla Terra

Due buchi neri supermassicci sono stati scoperti nella regione centrale nel nucleo luminosissimo di una galassia vicina.

Un quasar (da QUASi-stellAR radio source, radiosorgente quasi stellare) non è altro che il nucleo di una galassia estremamente luminoso. Il nome deriva dal fatto che questi oggetti, la cui natura è stata controversa fino ai primi anni ‘80, furono inizialmente scoperti come potenti sorgenti radio, la cui controparte ottica risultava puntiforme e del tutto simile a quella di una stella. Si tratta di nuclei di galassie molto distanti, che emettono una quantità di energia equivalente a quella di centinaia di galassie normali.

Piccoli ma potentissimi. Nonostante la loro enorme luminosità, le dimensioni dei quasar sono confrontabili con quelle del Sistema Solare, e comunque non sono più grandi di pochi anni luce. Un altro aspetto caratteristico di questi oggetti è che emettono grandi quantità di energia su tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico, dai raggi gamma, ai raggi X, ai raggi ultravioletti, al lontano infrarosso e, per circa il 10% dei quasar noti, fino alle frequenze radio.

Immagine del quasar Markarian 231, distante dalla Terra circa 581 milioni di anni luce, ripresa dal telescopio spaziale Hubble. © STScI/AURA

La danza dei mostri. L’oggetto di cui parliamo qui non è un quasar qualunque, ma uno nella cui regione centrale sono stati scoperti due buchi neri supermassicci che orbitano attorno al comune centro di gravità. Si tratta del quasar noto come Markarian 231 (Mrk 231) ed è il più vicino alla Terra di tutti i circa 200.000 oggetti di questo tipo finora conosciuti. Dista infatti da noi “soltanto” 581 milioni di anni luce.

La scoperta è stata fatta utilizzando il telescopio spaziale Hubble e l’analisi dei dati suggerisce che questi sistemi binari potrebbero essere molto comuni nei nuclei galattici attivi, essendo il risultato di violente fusioni tra galassie. La coppia genera una grande quantità di energia che rende il nucleo della galassia ospite tanto luminoso da essere paragonabile all’energia emessa da miliardi di stelle.

Una scoperta indiretta. I due buchi neri non sono stati osservati in maniera diretta, ma la loro presenza è stata dedotta grazie ai risultati di un modello messo a punto sulla base dell’analisi della radiazione ultravioletta emessa da Mrk 231.

Se nella regione centrale del quasar, infatti, esistesse un solo buco nero, l'intero disco di accrescimento circostante, costituito da gas caldo e polveri che spiraleggiano vorticosamente prima di essere fagocitati da questi “mostri celesti”, avrebbe emesso una intensa radiazione nella banda ultravioletta. L’emissione ultravioletta, invece, diminuisce bruscamente verso il centro del sistema, come se il disco fosse in realtà a forma di ciambella.

La migliore spiegazione per i dati rilevati, basata su modelli dinamici, suggerisce che la parte centrale del disco sia stata “scavata” dall’azione di due buchi neri che orbitano uno intorno all’altro.

Il più piccolo della coppia, inoltre, sembra possedere un proprio mini-disco.

Davide e Golia. Il buco nero centrale ha una massa stimata in circa 150 milioni di volte quella del Sole, mentre quella del compagno è pari a "soltanto" 4 milioni di masse solari. I due oggetti compiono un’orbita attorno al comune baricentro in 1,2 anni. Si ritiene che il buco nero più piccolo sia ciò che rimane di una precedente fusione tra un’altra galassia e Mrk 231, che ha trasformato quest’ultima in una “galassia starburst”, cioè in una galassia in cui il tasso di formazione stellare è circa 100 volte superiore a quello attuale della Via Lattea.

Una sequenza di fusioni. L’evoluzione dell’Universo è caratterizzata dalla fusione di sistemi più piccoli in sistemi più grandi e i buchi neri binari sono una conseguenze naturale di questi processi. Anche i due buchi neri appena scoperti, nel corso del tempo, si scontreranno e si fonderanno per formare un unico buco nero supermassiccio centrale.

5 settembre 2015 Mario Di Martino
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