A guardarla non sembra una cometa. Assomiglia più a una parete dolomitica con un ghiaione ai suoi piedi. Peccato che si trovi in realtà a milioni e milioni di chilometri da noi e con temperature decisamente più rigide del solito, pari a parecchie decine di gradi sotto lo zero centigrado.
Si tratta infatti di una parte della “testa” della cometa Churyumov Gerasimenko (CG, o anche 67P) che attualmente si trova ancora oltre l’orbita di Marte, seguita costantemente dalla sonda Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea.
Cover girl. La spettacolare immagine, ottenuta da OSIRIS, a bordo della sonda cometaria, ha meritato la copertina dello speciale di Science dedicato proprio ai primi risultati scientifici ottenuti dagli strumenti di Rosetta nei primi tempi dopo l’inserzione orbitale, il 6 agosto 2014.
In questa fase della missione lo strumento OSIRIS ha giocato un ruolo fondamentale. A esso ha contribuito moltissimo un team di scienziati italiani, in particolare padovani, capeggiati Cesare Barbieri dell’Università degli studi di Padova.
Il team padovano è stato attivo già durante le fasi di progettazione, costruzione e verifica di tutto lo strumento e, ora, sta continuando a lavorare alacremente sia per il mantenimento delle caratteristiche funzionali che per lo sfruttamento scientifico dei dati.
Come Rosetta porta il nome della stele che permise la decifrazione dei geroglifici egiziani, così il sistema di imaging della sonda porta il nome di Osiris, dio egizio degli inferi, oltre che della fertilità, il cui culto fu uno dei maggiori dell’antico Egitto. La scelta è stata fatta proprio per l’analogia con l’”occhio onniveggente” contenuto nel geroglifico che rappresenta il suo nome. OSIRIS, che è anche l’acronimo di Optical, Spectroscopic, and Infrared Remote Imaging System, è formata da due strumenti tra loro complementari.
La Wide Angle Camera, WAC, sviluppata al CISAS dell’Università degli Studi di Padova, è un telescopio a grande campo, ottimizzato per lo studio dei gas emessi dalla cometa che ne formano la chioma. Il fatto di avere un campo di vista grande circa 24 volte la Luna piena permette di ottenere una visione d’insieme della cometa, come nell’immagine accanto dove di vede che la cometa CG è formata da due corpi distinti (il corpo a sinistra, la testa a destra) collegati da un sottile colletto al centro.
E la complementare Narrow Angle Camera, NAC, un sistema ad alta risoluzione che permette invece di ottenere incredibili dettagli della superficie e di studiarne la composizione chimica come l’immagine della copertina di Science e come in quest’altra immagine, qui sotto, che ci mostra un dettaglio simile a un pozzo.
Questi “pozzi” sono una miniera di informazioni sulla conformazione interna della cometa. Abbiamo chiesto una spiegazione a Gabriele Cremonese, dell’INAF di Padova, che ci ha spiegato come «dalle misure del volume della cometa effettuate con OSIRIS e raffrontate agli effetti gravitazionali che la cometa ha sulla sonda, e che ci danno quindi “il peso” della cometa, noi siamo riusciti a ricavarne la densità che risulta circa la metà di quella dell’acqua. Questo è un dato che ci ha sorpreso inizialmente perché le formazioni che si vedono sul suolo della 67P sembrano formazioni “dure”, tipo rocciose per intenderci. E allora? Molto probabilmente all’interno della cometa devono esserci o delle grandi cavità oppure una diffusa micro-porosità strutturale».
«Non ci aspettavamo tutto questo dalla 67P», continua Cremonese, «anche la sua forma è bizzarra per quanto è vero che di nuclei cometari così ravvicinati ne abbiamo visti pochissimi. Ma questa è veramente particolare con i due lobi uniti da quello che abbiamo deciso di chiamare collo e che unisce appunto la testa e il corpo e dal quale si è inoltre osservata un’intensissima attività di fuoriuscita di getti di polvere e gas».
Un altro compito che il team Osiris ha in carico da quando la sonda, nell’agosto scorso, è scesa a una distanza inferiore ai 100 chilometri dal suolo della cometa, è stato quello di suddividere la superficie in ‘regioni’ ben definite dal punto di vista geomorfologico. Anche per questo gli astronomi si sono ispirati all’antico Egitto come si può evincere dai nomi delle divinità egizie leggibili nell’immagine qui accanto.
Abbiamo chiesto a Cesare Barbieri, chief scientist della parte italiana di OSIRIS, quanto lavoro resta ancora da fare: «Oggi il team di OSIRIS è comunque impegnato nella stesura di una seconda ondata di importantissimi lavori, quelli cioè collegati ai risultati ottenuti durante il rilascio del modulo Philae il 12 novembre scorso. Evento di straordinario successo dal punto di vista del rilascio, ma che vide il modulo rimbalzare per qualche chilometro a causa del mancato funzionamento dei dispositivi di ancoraggio al suolo. Nonostante questo imprevisto rimbalzo, Osiris e altri strumenti ottennero importanti dati su cui riferiremo appena possibile. Abbiamo inoltre una piccola speranza, che l’attività cometaria, congiunta con il progressivo alzarsi del Sole sulla zona dov’è presumibilmente ‘nascosto’ il modulo Philae, permetta ai suoi pannelli solari di caricare le batterie e rimettere in funzione gli strumenti che sono sul suolo».
Note
I fondi per le operazioni di Osiris sono assicurati dall’Agenzia Spaziale Italiana ASI con contratto al CISAS – Università di Padova tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica INAF.
I principali attori in questa fase di operazioni sono:
Università di Padova:
Fisica e Astronomia: C. Barbieri, M. Lazzarin, F. La Forgia, S. Magrin, S. Marchi, F. Marzari, M.Pajola
Geoscienze: M. Massironi, L. Giacomini
Ingegneria dell’Informazione e CNR Luxor: G. Naletto, V. Da Deppo, E. Verroi
Ingegneria Industriale: S.Debei, P. Brunello, M. Zaccariotto
CISAS: I. Bertini, F. Ferri, M. Pertile, A. Aboudan, G. Colombatti
INAF OA Padova: G. Cremonese, A. Lucchetti
INAF OA Trieste: M. Fulle
Università di Trento: De Cecco