Da qualunque parte la si guardi, quella del James Webb Space Telescope (JWST) è una delle imprese più importanti nella storia dell'Agenzia spaziale americana, e per certi versi anche una delle più audaci - a partire dalla costruzione e dai test, fasi che si sono rivelate più complesse del previsto. "Audace" anche nei costi, che a oggi sono arrivati a ben 9 miliardi di dollari a fronte di un'ipotesi iniziale già piuttosto indeterminata, che oscillava tra 1 e 3,5 miliardi di dollari: il progetto ha potuto andare avanti solo in virtù delle partnership avviate in corso d'opera con le agenzie spaziali europea e canadese.
Il primo progetto del JWST è della fine degli anni '80: il telescopio spaziale nasce per studiare la debolissima luce infrarossa proveniente dalle stelle più antiche dell'Universo.
Con il passare degli anni e il progredire delle esperienze e delle tecnologie gli astronomi hanno però visto la possibilità di sfruttare il progetto anche per altri obiettivi - che nel tempo sono diventati così numerosi da abbracciare oggi praticamente qualunque campo dell'astronomia.
Oggi il JWST è uno strumento estremamente complesso. Il suo specchio primario, del diametro di 6,5 metri, è composto da 18 esagoni rivestiti in oro: una volta lanciato sarà il più grande telescopio che abbia mai volato nello Spazio. Poiché dovrà studiare sorgenti infrarosse molto deboli, deve operare a temperature molto fredde, che richiedono una sorta di "parasole" che nello specifico è grande come un campo da tennis per garantire un efficace isolamento dal calore del Sole.
A una parte di questa parte del progetto lavora anche un italiano, Giuseppe Cataldo, che ha messo a punto nuovi metodi matematici per controllare gli aspetti termici del telescopio e riuscendo ad abbassare da tre mesi a due settimane la verifica delle qualità termiche con un'affidabilità mai raggiunta prima. Per questo contributo Cataldo ha ricevuto due importanti riconoscimenti: l'Early Career Public Achievement Medal e il Group Achievement Award.
Troppi rinvii. I costi, la notevole complessità del lavoro e i ritardi che si sono accumulati negli anni hanno fatto sì che il progetto del telescopio spaziale sia ora soggetto a uno stretto controllo economico da parte del Congresso americano, il quale spinge affinché venga lanciato il prima possibile (per interrompere l'emorragia di denaro...). Dopo numerose date fissate per il lancio (il 2007 fu la prima) sembrava che il 2018 fosse quella definitiva, ma recentemente è stata di nuovo spostata e adesso si parla del 2019. Thomas Zurbuchen, responsabile capo della ricerca scientifica della Nasa, pressato dal Congresso, all'inizio di dicembre dell'anno scorso affermava che «con le informazioni in nostro possesso posso dire che il 2019 sarà realmente l'anno del lancio».
Partenza al cardiopalmo. Il telescopio verrà lanciato dal razzo europeo Ariane 5, dalla Guyana francese - e questo è un altro motivo di contestazioni: Brian Babin, presidente della sottocommissione spaziale americana, vorrebbe il telescopio a bordo di un razzo statunitense.
John Grunsfeld, un ex astronauta che ha lavorato tre volte sullo Space Shuttle, non rivela certo nulla di nuovo affermando che «ancora oggi ogni lancio di un razzo è un momento di grande incertezza e rischio»... Andrebbe però anche ricordato che i lanciatori Ariane 5 hanno una serie notevole di lanci positivi: ben 81 consecutivi in 15 anni.
Dopo 100 giorni di viaggio nello Spazio l'osservatorio astronomico raggiungerà la posizione designata di parcheggio, a circa 1,6 milioni di chilometri dalla Terra, più o meno 4 volte la distanza Terra-Luna.
Scatola di montaggio. Raggiunta la destinazione, prima che il telescopio sia in piena operatività serviranno circa 6 mesi di lavoro: questa lunga fase sarà una delle più delicate e, dopo la partenza, una delle più ricche di pathos, in particolare il dispiegamento dello specchio principale, che fino a quel momento ha viaggiato ripiegato in un apposito vano del laboratorio-navicella.
È tutto automatizzato, tutto controllato e comandato da Terra: se qualcosa andasse male nessuno potrà andare a sistemare le cose, come si fece con il telescopio spaziale Hubble. Tutto deve insomma svolgersi alla perfezione: in caso di insuccesso sarebbe difficile spiegare all'opinione pubblica la perdita di oltre 9 miliardi di dollari e quasi certamente si avrebbero pesanti ricadute negative sui finanziamenti per la ricerca scientifica astronomica e i programmi spaziali.
Che cosa ci aspetta. Sembra comunque che per adesso tutto vada bene. Le verifiche degli ultimi mesi sono positive ed è giustificato un cauto ottimismo anche se il telescopio sta entrando nella fase di sviluppo più complessa, con l'integrazione e la sincronia finale di tutti gli strumenti - un processo, quest'ultimo, che potrebbe anche portare ad un ulteriore slittamento del lancio.
Facciamo pure tutti gli scongiuri del caso, ma quando infine sarà in orbita e pienamente operativo, il James Webb Space Telescope ci porterà l'uomo ai confini del tempo e dello spazio come nessun'altro telescopio o strumento per la ricerca astronomica ha mai fatto nella storia dell'umanità.