Spazio

Pionieri nello Spazio: la storia degli incidenti finiti bene

Fin dall'inizio dell'esplorazione spaziale molti incidenti hanno sfiorato la tragedia: ecco quelli dove l'ingegno, la preparazione (e la fortuna) di astronauti e tecnici hanno evitato il peggio.

La storia dell’esplorazione spaziale è costellata da incidenti più o meno gravi, sempre drammatici anche quando non hanno fatto vittime in virtù della preparazione e dell'addestramento degli astronauti (e un po' grazie alla fortuna). Della maggior parte di queste situazioni si sa poco o nulla, o sono state presto dimenticate - fatta eccezione per la storia all'Apollo 13, naturalmente («Houston, abbiamo un problema...»). Ecco alcune di queste storie finite bene.

1 - Yuri gagarin: il rientro nell'atmosfera

Era il 12 aprile 1961 quando il primo uomo andò nello Spazio e ritornò sano e salvo: Yuri Gagarin, a bordo della Vostok 1. Di quel volo si ricorda l’epicità della missione, ma poco mancò che si trasformasse in tragedia durante il rientro.

Yuri Gagarin, il primo uomo ad aver solcato lo spazio. La sua missione non fu priva di momenti drammatici © Roscosmos

Durante il rientro nell’atmosfera il modulo di servizio, ossia la parte posteriore della navicella nella quale si trovavano gli strumenti necessari al volo, non si staccò come da programma dalla capsula dov'era seduto Gagarin.

Il mancato distacco causò un’oscillazione che cambiò l'assetto della Vostok: l'angolo di rientro non era più sotto controllo e la navicella sarebbe potuta bruciare attraversando l’atmosfera.

Fu proprio l’attrito tra capsula e atmosfera a sciogliere i lacci che ancora trattenevano i due moduli e questo permise al modulo di comando di stabilizzarsi e attraversare indenne la fase più pericolosa, ossia l'ingresso nell'atmosfera. Inoltre, a 7 mila metri di quota la capsula espulse il sedile con Gagarin: oltre al primo paracadute, però, si aprì anche quello di emergenza, e per qualche momento il cosmonauta, che nel frattempo si era separato dal sedile, temette che i lacci dei suoi due salvavita si potessero aggrovigliare.

2 - Gus Grissom, l'astronauta che quasi affogò

Tremenda fu anche l’esperienza del secondo astronauta statunitense durante un volo suborbitale (ossia senza entrare in orbita terrestre).

Gus Grissom era il pilota della Liberty Bell 7, lanciata il 21 luglio 1961. Un viaggio perfetto, fino all'ammaraggio nell'Oceano Atlantico. A quel punto il dramma: il portellone si aprì accidentalmente e la navicella iniziò a imbarcare acqua.

Grissom riuscì a liberarsi dal seggiolino e a uscire velocemente dalla capsula. Mentre la Liberty Bell affondava, Grissom, bardato nella tuta spaziale, riuscì fortunosamente ad aggrapparsi al salvagente calato dall’elicottero di salvataggio. Il modulo finì in fondo all’oceano e venne recuperato soltanto trentotto anni dopo, nel 1999.

Il salvataggio di Gus Grissom poco prima che la sua navicella Liberty Bell finisse sul fondo dell'Oceano Atlantico © Nasa
1965: Alexei Leonov durante la prima passeggiata di un uomo nello spazio. © Roscosmos

3 - Alexei Leonov: la prima passeggiata nello spazio

18 marzo 1965: durante la missione Voskhod 2 nell'orbita terrestre, il cosmonauta sovietico Alexei Leonov fu il primo essere umano nella storia delle esplorazioni spaziali a uscire da una navicella spaziale esponendosi al vuoto dello Spazio.

Leonov rimase all'esterno, a 500 km da Terra, per circa 12 minuti, ancorato alla capsula da un cavo di sicurezza. Al momento di rientrare qualcosa andò storto: a causa della mancanza di "contro pressione", per via del vuoto dello Spazio, la tuta si era gonfiata come un pallone, al punto che l'astronauta riuscì a malapena a infilarsi all'interno della navicella. La passeggiata, la tensione, il difficile rientro e tutte le manovre successive per liberarsi della tuta in sicurezza costarono a Leonov 6 kg in sudore.

Anche il rientro della Voskhod 2 terminò in modo fortunoso, molto lontano dal luogo previsto, nel mezzo di una foresta. L’equipaggio (oltre a Leonov, Pavel Beljaev, comandante della missione) dovette rimanere una notte all’interno della navicella perché attorno vagavano lupi e orsi. Da quella volta, e per molti anni, i cosmonauti russi sono andati in orbita con una pistola, inizialmente una TP 82. Non per difendersi dagli alieni, ma dai lupi.

4 - Neil Armstrong, l'uomo che sfidava il pericolo

Probabilmente Neil Armstrong ha avuto il privilegio di essere scelto come capitano della missione Apollo 11 e come primo uomo a scendere sulla Luna grazie al sangue freddo con cui era riuscito a gestire un incidente nello spazio, due anni prima.

Uno spaccato di una navicella Gemini. Portava a bordo 2 astronauti e fu fondamentale per aprire le porte alle missioni Apollo. © Nasa

Accadde durante la missione Gemini 8, lanciata il 16 marzo 1966, la più complessa operazione in orbita mai effettuata prima di allora: un rendezvous e aggancio con un velivolo senza equipaggio.

27 minuti dopo la manovra di aggancio, i due moduli iniziarono a ruotare vorticosamente, alla velocità di un giro al secondo. La situazione era critica, ma Armstrong riuscì a riprendere il controllo della Gemini e ritornare a Terra (interrompendo in anticipo la missione) con il suo compagno.

In seguito, durante la fase di addestramentro per la missione Apollo 11, Armstrong sfuggì miracolosamente alla morte durante una esercitazione con il simulatore volante LLRV (Lunar Landing Research Vehicle), utilizzato per prepare gli astronauti all'allunaggio. Un malfunzionamento costrinse Armstrong ad abbandonare il mezzo a circa 60 metri dal suolo, eiettandosi e atterrando con il paracadute (guarda il video). Armstrong affermò poi che, nonostante la pericolosità dei test, senza quel tipo di addestramento l'allunaggio non sarebbe mai stato possibile. Il resto è Storia.

5 - I (molti) GUAI DEGLI APOLLO

Le missioni Apollo sono ricordate - in termini di incidenti - soprattutto per la vicenda dell'Apollo 13. Ma anche le altre missioni furono costellate da incidenti e problemi, a volte di non poco conto. A partire da Apollo 11.

20 luglio 1969 - Durante la discesa sulla Luna il computer di atterraggio del modulo lunare si sovraccaricò ripetutamente.

Le istruzioni preimpostate stavano inoltre portando il modulo lunare verso una zona accidentata, piena di massi e crateri, sulla quale il veicolo non avrebbe potuto posarsi: fu solo l’intervento manuale di Armstrong e Aldrin, che cambiarono luogo d’atterraggio, a salvare la missione.

Il cambio di programma comportò però un maggiore consumo di carburante: Armstrong si ritrovò nel momento dell'allunaggio con il carburante sufficiente ad appena 25 secondi di volo. «Qui molta gente è diventata cianotica», dissero da Houston ad Armstrong (dopo l’allunaggio).

Ottobre 1968 - Durante la missione Apollo 7 si sfiorò persino l'ammutinamento, come racconta Paolo Attivissimo in Luna, sì ci siamo andati:

In cabina si formarono accumuli d’acqua provenienti dagli impianti di raffreddamento: rischio grave, in un ambiente pieno di circuiti elettrici. L’equipaggio fu colpito dalla stitichezza e da un raffreddore che bloccò le vie nasali: problema serio in una missione spaziale, perché in assenza di peso il muco si accumula invece di defluire e soffiarsi il naso causa forti dolori alle orecchie. Inoltre durante il rientro, con la testa incapsulata nel casco, gli astronauti non avrebbero potuto soffiarsi il naso e l’accumulo di pressione non compensata avrebbe potuto sfondare i loro timpani. Nonostante il parere contrario della NASA, gli astronauti eseguirono il rientro senza casco e non subirono danni. L’equipaggio, inoltre, litigò con il Controllo Missione, parlando apertamente di “esperimenti mal preparati e concepiti frettolosamente da un idiota” e rifiutandosi ripetutamente di eseguire gli ordini da Terra. Fu una delle varie ribellioni poco pubblicizzate degli equipaggi.

La partenza del Saturno 5 che portava nello spazio la missione Apollo 12. Nel primo minuto di volo fu colpito da due fulmini che fecero spegnere tutti i computer di bordo per alcuni minuti © Nasa

Novembre 1969 - Apollo 12 rischiò di far tornare a Terra gli astronauti prima ancora di arrivare in orbita: 36 e 52 secondi dopo il lancio due fulmini colpirono il razzo Saturno 5, disattivando per 4 lunghi minuti il computer di bordo dell'Apollo, le celle a combustibile e alcuni strumenti all’esterno del modulo lunare.

Soltanto un suggerimento inviato via radio dai tecnici a terra permise di riavviare i computer ed evitò che la missione venisse interrotta. Ad ogni modo i tre astronauti vennero trattenuti in orbita terrestre per un tempo superiore a quello stabilito al fine di verificare la gravità dei danni che alla fine vennero ritenuti non critici per la missione.

Il ritorno a Terra della missione Apollo 15 fu segnata da istanti di paura allorché uno dei tre paracadute non si aprì © Nasa

Luglio-agosto 1971 - Apollo 15 fu una missione perfetta fino al momento dell’ammaraggio, quando uno dei tre paracadute non si aprì.

Pur essendo un imprevisto già ipotizzato dalla Nasa il pericolo fu grande, perché la causa del malfunzionamento poteva impedire l’apertura di un secondo paracadute, e questo avrebbe avuto conseguenze drammatiche, con un impatto distruttivo della navicella in mare.

11-17 aprile 1970 - Apollo 13 ebbe già un grave problema prima dell’esplosione avvenuta nel modulo di servizio. In fase di partenza uno dei motori cessò di funzionare due minuti prima del previsto. L’equipaggio tuttavia riuscì ad entrare in orbita terrestre grazie al fatto che gli altri 4 motori poterono funzionare per 34 secondi in più del previsto.

Ma circa due giorni dopo la partenza, il 13 aprile, quando la navicella si trovava a circa metà strada tra la Terra e la Luna un serbatoio dell’ossigeno liquido esplose danneggiando il modulo di servizio e privandolo di elettricità. Gli astronauti sopravvissero trasferendosi nel modulo lunare, Aquarius, ingegnandosi e dando fondo ai motori, alle riserve di elettricità e al sistema di purificazione dell’aria del modulo, che permise loro di circumnavigare la Luna e tornare a Terra, ammarando nell’Oceano Pacifico.

L'unica immagine del Modulo di Servizio di Apollo 13 fotografato poco prima che gli astronauti iniziassero a scendere sulla Terra. Si vedono i danni causati dall'esplosione del serbatoio dell'ossigeno © Nasa

6 - Il primo incidente in fase di decollo

Era il 5 aprile 1975 quando la navicella sovietica Soyuz 18A partiva dal cosmodromo di Bajkonur per raggiungere la stazione spaziale Saljut 4. Dopo la partenza e il distacco del primo stadio avvenuti in modo perfetto, la tragedia. Trascorsi 288 secondi dal lancio e raggiunti i 192 chilometri di quota, sei bulloni esplosivi sarebbero dovuti entrare in azione per separare il secondo stadio dal terzo, ma solo tre di essi funzionarono e così il terzo stadio entrò in azione con ancora il secondo stadio attaccato al razzo.

La spinta riuscì a staccare il secondo stadio, ma la traiettoria della navicella fu compromessa e, in una manciata di secondi, il controllo missione decise di far rientrare la navicella con a bordo due cosmonauti. Le operazioni funzionarono da manuale e la Soyuz ritornò a Terra con l’equipaggio salvo. Vasilij Lazarev tuttavia, comandante della missione, subì un serio trauma a causa dei 21,3 g subiti, contro i 15 g previsti, e non potè più tornare a volare nello spazio.

Un disegno che ricorda la prima missione congiunta realizzata dall'Unione Sovietica e dagli Stati Uniti. Un aggancio in orbita tra una navicella Apollo e una Soyuz © Nasa

7 - Un abbraccio finito male

Luglio 1975. Dopo le missioni lunari, l'Apollo venne lanciata nello spazio per una missione storica: il rendezvous (l’aggancio) con una navicella russa, una Soyuz, primo passo della collaborazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Una missione storica e perfetta, ma solo fino al rientro, per l’Apollo. Per una dimenticanza degli astronauti, infatti, venne lasciato aperto il sistema di controllo dei motori della navicella e così i velenosi fumi di tetrossido di diazoto entrarono nella capsula. Uno dei tre astronauti, Vance Brand, perse i sensi, mentre gli altri due, Thomas Stafford e Deke Slayton, riuscirono a mettersi in tempo le maschere d’ossigeno ed evitare il peggio.

Ma l’intero equipaggio dovette passare alcune settimane all’ospedale, dopo il rientro.

Una rara immagine dove si vede il salvataggio della Soyuz 23 ammarata nel Lago Tengiz

8 - Nel lago ghiacciato

Le missioni Soyuz sono programmate per il rientro a terra, nelle steppe del nord della Russia, tuttavia le navicelle sono state costruite anche per sopportare un eventuale ammaraggio. Nessuno però aveva pensato a un ammaraggio in un lago ghiacciato. È quello che è successo alla Soyuz 23 al ritorno dal suo viaggio nello spazio, durato poco più di due giorni: era l’ottobre del 1976.

La navicella finì nel lago Tengiz, già parzialmente ghiacciato. Non ci sarebbero stati gravi problemi se i paracadute, appesantiti dal ghiaccio, non avessero iniziato a trascinare la navicella verso il fondo: ci vollero nove ore di lavoro frenetico per fare uscire gli astronauti sani e salvi.

9 - Se il motore ti abbandona nello Spazio...

Aprile 1979, la Soyuz 33 deve portare alla stazione orbitante Saljut 6 due cosmonauti, il comandante Nikolaj Rukavisnikov e il primo bulgaro a volare nello spazio, Georgi Ivanov. Tutto funziona a meraviglia finché la navicella si trova a 4 chilometri dalla stazione spaziale. A questo punto il piano di volo prevede l’accensione del motore per 6 secondi, per aggiustare la rotta. Ma dopo 3 secondi si spegne e il computer di bordo "dice" che anche il sistema di avvicinamento alla Saljut è fuori uso. Unica soluzione è il rientro a Terra anticipato.

Durante la manovra di rientro nell’atmosfera, però, i motori frenanti anziché spegnersi dopo 188 secondi rimangono accesi, e solo dopo altri interminabili 25 secondi il comandante riesce a spegnerli manualmente. Ma ora la Soyuz ha un angolo di inclinazione che la fa precipitare quasi come un sasso attraverso l’atmosfera, ma infine, molto fortunosamente, l’equipaggio arriva a Terra sano e salvo.

Un altro rientro a sasso si è verificato nel 2003, quando la Soyuz TMA-1 ebbe un malfunzionamento ai motori di assetto: la capsula atterrò a 500 chilometri dal punto previsto e al momento dell’impatto i paracadute trascinarono la capsula per 15 metri, ma l’astronauta Dan Petit ne uscì solo con una ferita alla spalla.

La partenza della Soyuz T-10A. A bordo Vladimir Titov e Gennadij Strekalov. Pochi istanti prima del Go il razzo prese fuoco. Solo grazie ad un segnale radio la navicella si separò dal razzo e atterrò lontana. © Roscosmos

10 - Quando la sfortuna ti perseguita

Vladimir Titov e Gennadij Strekalov avevano già volato nello spazio, per raggiungere la stazione spaziale Saliut 7, ma in quella occasione la manovra di aggancio non era riuscita e la missione annullata.

Il 26 settembre 1983 i due cosmonauti si trovano di nuovo insieme sulla rampa di lancio, a bordo della Soyuz T-10A. Poco prima della partenza, però, dal lanciatore Sojuz inizia a fuoriuscire del carburante, che prende fuoco.

Il centro di controllo applica la procedura del caso: attivare il piccolo missile che stacca la navicella dal resto del razzo, per farla atterrare lontano. Ma anche i cavi che avrebbero dovuto trasmettere l’impulso hanno preso fuoco. I cosmonauti non possono fare nulla. Rimane un’ultima speranza: inviare al razzo un segnale radio. Il comando viene eseguito e il razzo con navicella appresso si staccano e la Soyuz atterra a 400 chilometri da Bajkonur. L’equipaggio è salvo.

11 - Abort to orbit!

29 luglio 1985, la missione STS 51F del programma Space Shuttle parte per lo spazio. Trascorrono 3 minuti e 31 secondo dal “go” quando un sensore del motore centrale dice che qualcosa non funziona, due minuti dopo un secondo sensore conferma il primo: il motore si spegne. Dopo 8 minuti anche i sensori di un secondo motore segnalano un problema, ma da Terra viene impedito che si spenga: sarebbe stata una catastrofe! La missione subisce un “ATO” (abort to orbit): lo Shuttle è cioè obbligato a mantenere un’orbita più bassa rispetto a quanto previsto, fino al rientro, il 6 agosto.

Non c'è modo di valutare questa missione, se non nel contesto del successo delle procedure di emergenza, che hanno permesso di evitare il peggio. Ma l'intera operazione è stata comunque un successo di marketing, per via della presenza a bordo di un distributore di Coca-Cola e di Pepsi, gli sponsor della missione.

12 - Buchi e altre catastrofi

Le attività extraveicolari (EVA) sono sempre pericolose. Un incidente molto serio è la perforazione della tuta ed è accaduto, per la prima volta nel 1991, all’astronauta Jerome Apt durante una passeggiata spaziale in programma con la missione Shuttle STS-37. Un incidente banale ovunque tranne che nello Spazio: piccola asta gli perforò un guanto. Il buco venne chiuso immediatamente, con una sostanza apposita, ma per qualche minuto tutti restarono col fiato sospeso.

Un altro incidente serio si ebbe nel 2001. Robert Curbeam stava effettuando un collegamento delle linee di raffreddamento della Stazione Spaziale Internazionale, in fase di costruzione. Una valvola difettosa fece uscire dell’ammoniaca (utilizzata come liquido di raffreddamento) che andò a congelarsi sulla tuta dell’astronauta. Sulla tuta e sul casco si formò uno strato di ammonica di un centimetro di spessore.

In quelle condizione non si poteva far rientrare l’astronauta nella Iss, perché all'interno il ghiaccio di ammoniaca si sarebbe trasformato in vapori velenosi. La soluzione? Un bagno di Sole! a Curbeam fu detto di restare esposto al Sole per un’intera orbita per fare evaporare l'ammoniaca.

Luca Parmitano durante la passeggiata spaziale che lo vide attore di un incidente che lo portò quasi ad annegare nello spazio © Esa

Luglio 2013 - Una altro incidente al cardiopalmo accadde a Luca Parmitano, nel corso della missione Volare. Impegnato in una serie di attività tecniche fuori dalla Stazione spaziale, durante la sua seconda EVA una perdita nel sistema di raffreddamento della tuta portò acqua nel casco: un incidente non da poco, che avrebbe potuto avere conseguenze molto serie per AstroLuca, e fino a quel momento non previsto da alcun piano di emergenza. Ma l'addestramento, la lucidità e il sangue freddo permisero di gestire la crisi, e Parmitano, aiutato anche dal collega Chris Cassidy, rientrò nella Iss, dove altri membri dell'equipaggio lo aiutarono a liberarsi rapidamente dal casco e uscire dalla tuta.

Un'immagine tratta da un video realizzato poco dopo l'incendio avvenuto a bordo della Mir © Rscosmos

13 - Incendio a bordo!

Febbraio 1997: quello che capitò alla stazione Mir nell'ambito del programma Shuttle-Mir (1994-98) è forse uno degli incedenti più gravi mai occorsi a un equipaggio nello spazio. A bordo della stazione russa, oltre ai cosmonauti Vasilij Cibliev e Aleksandr Lazutkin, c'era l’americano Jerry Linenger, il quale aveva, tra l’altro, anche il compito di gestire un contenitore di perclorato di litio usato per integrare l’ossigeno nella stazione orbitante. Qualcosa durante una di queste operazioni andò storta (si seppe poi che il contenitore era difettoso) e l’apertura del recipiente provocò un incendio: «c'erano scintille da tutte le parti - ha ricordato poi Linenger - e le fiamme erano così calde che iniziò a fondersi una paratia».

Fortuna che, a differenza di altre situazioni (vedi sopra, l'incidente di Luca Parmitano), quella del fuoco nello spazio è una situazione da manuale e sono stati proprio la prontezza e l'addestramento degli astronauti a scongiurare una catastrofe (e, per inciso, l'incidente portò una serie di miglioramenti anche nelle procedure operative interne).

1997: lo scontro tra una navicella da rifornimento Progress e la Mir danneggia irrimediabilmente pannelli solari. © Roscosmos

14 - Collisione nello Spazio

25 giugno 1997: siamo ancora a bordo della Mir, dove pochi mesi prima si era sviluppato un pericoloso incendio. La navicella russa si prepara a ricevere la navicella Progress, con i rifornimenti da Terra: durante l’attracco un malfunzionamento del computer di bordo della Progress portò a collidere la navicella con i pannelli solari della Mir e con un modulo, lo Spektr. I pannelli furono gravemente danneggiati, e lo Spektr perforato: una falla relativamente piccola, ma sufficiente a provocare la depressurizzazione dell’intera stazione spaziale. Nessuna conseguenza per l'equipaggio, che rispose con prontezza ed efficienza all'emergenza, ma l'accesso al modulo fu sigillato e non fu mai più possibile recuperarlo.

3 giugno 2015 Luigi Bignami
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