Lo scorso febbraio è stata annunciata la conclusione dei primi studi su TRAPPIST-1, una stella a 40 anni luce da noi, e del suo sistema di sette pianeti, due dei quali orbitano nella fascia di abitabilità della loro stella, perciò potrebbero avere condizioni adatte alla vita.
Quando però sono stati studiati i dettagli delle orbite di quei pianeti, gli astrofisici erano sorpresi dal fatto che non si fossero già scontrati tra loro, o che non fossero stati espulsi dal sistema, perché le loro orbite sono così vicine tra loro e alla stella che la stabilità del sistema sembrava impossibile.
Per i pianeti di TRAPPIST-1,
1 "anno", ossia la durata di un'orbita completa attorno alla stella,
varia da 1,5 a non più di 19 giorni terrestri!
Musica della stelle. Ora uno studio ha permesso di capire le dinamiche di quel sistema solare e di spiegare come sia rimasto in armonia con se stesso per miliardi di anni.
Daniel Tamayo (università di Toronto) e autore della ricerca pubblicata sull'Astrophysical Journal Letters, spiega che «si tratta di un sistema planetario molto speciale, che richiede una spiegazione particolare per capire come non si sia autodistrutto».
Una spiegazione veramente particolare nata dal "gioco" di un collega di Tamayo, Matt Russo, astrofisico e appassionato di musica, che quasi per scherzo ha convertito in note i parametri orbitali dei sette pianeti.
Ne è nata una sorta di musica delle sfere del XXI secolo: «Penso che TRAPPIST sia il sistema planetario più musicale mai stato scoperto», ha poi commentato Russo.
Equilibrio musicale. L’analisi delle orbite dei pianeti ha mostrato che sono in risonanza: il secondo pianeta completa cinque orbite mentre il primo ne fa tre, il terzo fa tre orbite ogni cinque del secondo e così via fino al settimo. Funziona così da oltre 3,5 miliardi di anni - a dispetto dei modelli computerizzati che davano il sistema per spacciato in meno di 1 milione di anni.
Tamayo si è chiesto dov’è il trucco che rende stabile il sistema solare e ha adottato un approccio originale per comprendere i movimenti di quei pianeti. Invece di partire dalle orbite attuali ha ricostruito il modo col quale i pianeti si sono scelti le orbite quando si sono formati: è stato in quel periodo che, dalla nebulosa primordiale, i pianeti si misero in posizioni tali da mantenersi in modo armonico per tempi immemori.
«È come quando i musicisti di un’orchestra si adeguano agli altri intonando i propri strumenti, prima dell’inizio di un concerto», commenta Tamayo.
Fin dalla loro nascita, dunque, quei pianeti armonizzarono le orbite in un delicato ma duraturo equilibrio di tempi e gravità.
I pianeti, via via che nascevano, si sono "adattati" alla presenza di quelli già formati, inserendosi in orbite che li avrebbe stabilizzati e contribuito alla stabilità degli altri. Se al computer si procede allo stesso modo... tutto funziona!
Concerto di pianeti. Tamayo, Russo e il musicista Andrew Santaguida hanno infine trasformato le orbite dei pianeti in un brano musicale (e anche aperto un sito ad hoc, SYSTEM sounds). A ogni pianeta è stata data una nota partendo da un do per il pianeta più esterno, la cui orbita è stata ricalcolata (proporzionalmente) in due secondi. Ogni volta che un pianeta raggiunge il suo vicino più prossimo, c'è una battuta sulla percussione: forse non è il tipo di musica che vi piacerebbe ascoltare a lungo, ma è interessante in un modo che non mancherà di sorprendervi.