Un proiettile da 20 kg si schianta in un blocco di ghiaccio da 10 tonnellate a 340 metri al secondo di velocità e ne esce perfettamente indenne. È, in estrema sintesi, l’ultima prova generale di conquista dello spazio che ha avuto luogo qualche giorno fa a Pendine, nel Galles, presso i laboratori della QuinetQ, un’azienda britannica che lavora per il ministero della difesa di Sua Maestà.
Obiettivo del test era quello di verificare il potenziale della super pallottola che prossimamente potrebbe essere utilizzata per sbarcare strumenti e apparecchiature sulla superficie di Europa, la luna ghiacciata di Giove.
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Rallentamenti da record
Chi ha assistito al test afferma che è stato davvero spettacolare: il proiettile, del peso di 20 kg, è stato sparato contro il blocco di ghiaccio utilizzando una slitta a razzo che corre lungo un binario a una velocità prossima a quella del suono. Al contatto con l’obiettivo, la sonda ha subito una decelerazione di 24.000 g (un pilota di caccia arriva a 14-15), ma ne è uscita illesa, a parte qualche graffio sulla superficie.
Gli scienziati britannici ipotizzano il lancio contemporaneo di più proiettili così da poter dispiegare sul bersaglio una rete di sensori: sismometri, spettrometri, laboratori chimici in miniatura. Ma perché i ricercatori vogliono far arrivare le loro apparecchiature sotto la superficie di Europa o di altri mondi? L’idea è che qui, al riparo dalle radiazioni cosmiche, dovrebbe essere più facile trovare tracce di forme di vita.
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Hard o soft landing?
Lo sviluppo di questo progetto, che al momento non ha ancora un nome, è iniziato 10 anni fa ed era destinato a mettere a punto un sistema per far sbarcare le apparecchiature sulla Luna. “Rispetto alla classica sonda ad atterraggio morbido, questa presenta numerosi vantaggi: non ha bisogno di un complesso e costoso sistema di rallentamento, permette, senza ulteriori sforzi, di arrivare fino a 3 metri nel sottosuolo ed essendo leggera, può essere sparata in molteplici esemplari da un singolo orbiter spaziale” spiega alla BBC Sanjay Vijendran, project manager dell’ ESA.
Il test ha evidenziato non solo le notevoli doti di robustezza del dispositivo, ma anche la sua capacità di proteggere il contenuto: tutti gli strumenti contenuti al suo interno sono infatti usciti indenni dalla prova.
I prossimi sviluppi del progetto riguarderanno la batteria e le strumentazioni per la comunicazione a Terra dei dati rilevati.
Il primo esemplare impiegabile in missioni vere sarà pronto entro il 2020, insieme al suo sistema di lancio.
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