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Il 21 luglio 1969 Neil Amstrong e Edwin ‘Buzz’ Aldrin mettono piede sulla Luna. È l’impresa che corona decenni di sforzi dedicati alla conquista dello spazio, dietro i quali c’è tutta l’innovazione tecnologica di cui il genere umano può disporre. Al successo della Nasa contribuisce anche IBM con 4000 dipendenti e con sistemi hardware e software dispiegati a Cape Canaveral, Houston, Washington e Huntsville, dove si producono i razzi.
È di IBM, per esempio, il sistema di guida inerziale e di controllo del Saturn V che porta in orbita gli astronauti: un ‘piccolo’ gioiello tecnologico di 6,7 metri di diametro, 90 centimetri di altezza e 1800 chilogrammi che non ha eguali in fatto di miniaturizzazione, robustezza e affidabilità, potendo garantire un tempo medio tra i guasti di oltre 40mila ore.
È questo il cervello che gestisce i motori, l’espulsione degli stadi, e tutti i parametri per la corretta traiettoria del razzo. La mole di informazioni prodotte durante il viaggio, così elevata da dover essere a una sorta di stenografia elettronica, viene invece gestita a Houston con 5 mainframe System/360. Il loro compito è tradurre, calcolare e valutare l'insieme dei dati, minuto dopo minuto, trasferendoli ai display dei controllori di volo impegnati nella guida della navicella dall'orbita terrestre a quella lunare. Nel frattempo, a 240mila chilometri dal Texas, lo stesso tipo di computer processa i dati per la discesa di Apollo 11, ne permette l’aggancio con il modulo di comando e ciò che servirà per il ritorno sulla Terra. Il sogno di generazioni di uomini può dirsi compiuto, grazie alla tecnologia informatica.
Oggi il legame tra IBM e l’esplorazione del cosmo continua sotto altre forme. L'azienda, per citare un esempio, è partner di Astron nel progetto Dome che sta sviluppando un supecomputing con capacità di calcolo pari a milioni di miliardi di operazioni al secondo.
La macchina è destinata allo SKA (Square Kilometre Array), il consorzio incaricato di costruire il più grande radiotelescopio del mondo. Atteso per il 2024, sarà 50 volte più sensibile e 10mila volte più veloce di ogni strumento oggi in funzione, e potrà produrre una quantità di dati da 10 a 100 volte superiori a quelli del Large Hadron Collider del Cern. Ciò che occorre per esplorare l'evoluzione delle galassie, indagare la materia oscura e comprendere meglio le origini dell'Universo.