Spazio

Quanto lontano può andare un astronauta senza morire di noia?

In mancanza di tecnologie super veloci per lunghi viaggi nello spazio, l'unica possibilità è quella di mettere gli astronauti in uno stato di torpore.

La sonda dell'Esa ExoMars è da poco partita per Marte: un viaggio lungo sette mesi per arrivare in prossimità del Pianeta Rosso. Al momento non ci sono all'orizzonte sistemi alternativi per abbreviare un viaggio che prima o poi sarà compiuto anche dall'uomo. E più in là, forse nel prossimo secolo, porteremo un equipaggio ancora più lontano, forse addirittura verso altri sistemi solari.

Come gestire viaggi spaziali così lunghi? Qual è l'alternativa, in attesa di una tecnologia più veloce? Perché se uno dei problemi della navigazione fino a Marte potrebbe essere la "noia", come ha detto con diretta semplicità Samantha Cristoforetti in occasione del lancio di Exomars, per andare più lontano ci sono questioni più critiche da gestire.

Un equipaggio per Marte sarà messo in stato di torpore? © Nasa

Una soluzione (ancora) da fantascienza è l'ibernazione, mentre sembra più praticabile indurre negli astronauti uno stato di torpore che, senza arrivare all'ibernazione, consenta di ridurre l'attività vitale fino a rendere più breve la percezione del viaggio.

Il torpore. Anche se l'obiettivo è ancora lontano, l'Agenzia spaziale europea (Esa) ha dei ricercatori che lavorano al problema, per esempio studiando il letargo, lo stato di torpore in cui entrano alcuni animali nei periodi freddi dell'anno. Alcuni sono in grado di farlo per la durata di poche ore e quando necessario, è il caso di topi e colibrì, altri vi rimangono per mesi, come i ricci e gli orsi. Tecnicamente il torpore è uno stato di metabolismo ridotto, cioè una condizione in cui tutte le reazioni chimiche necessarie per mantenere vivo un organismo sono rallentate.

Durante l'inverno il riccio passa dalla veglia al torpore attraverso il sonno. © Shutterstock

In teoria anche l'uomo può farlo. Per esempio in sala operatoria: per alcune operazioni chirurgiche, sul cuore e sul cervello, si abbassa la temperatura corporea per ridurre la necessità di ossigeno. Ci sono poi casi per i quali è difficile trovare una spiegazione del tutto soddisfacente: resta emblematica, per esempio, l'esperienza di un ragazzo di 14 anni rimasto sott'acqua nel Naviglio, a Milano, per ben 42 minuti, e poi rianimato senza alcun danno cerebrale.

Ma la differenza con gli animali è profonda: loro lo fanno "naturalmente".

La risposta del cervello. Nonostante le numerose ricerche non si è ancora riusciti a capire come gli animali riescano a passare dallo stato di veglia a quello di torpore e viceversa. Sembra che il processo prenda avvio dalle singole cellule, ma ci sono anche indizi che fanno pensare che sia l'interno sistema nervoso e ormonale ad entrare globalmente nella fase di torpore.

C'è poi una domanda fondamentale: come reagisce il cervello a tali passaggi? È noto che negli animali il passaggio non avviene "istantaneamente" ma è veicolato dal sonno.

Questo perché, probabilmente, il passaggio lento aiuta il cervello ad adattarsi al livello di ossigeno corrispondente agli stati di veglia e torpore. Oggi la medicina è riuscita a produrre farmaci in grado di indurre il sonno e di manipolarlo, ma per arrivare al vero torpore la strada è lunga. Però, in mancanza di un vero salto di tecnologia aerospaziale, potrebbe essere l'unica possibilità per fare lunghi viaggi nello spazio.

17 marzo 2016 Luigi Bignami
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