Gli astrobiologi che studiano Marte (o altri angoli potenzialmente "abitabili" di Sistema Solare) hanno un grande timore: quello di contaminare con microbi provenienti dalla Terra gli ambienti che andiamo a esplorare anche per cercare la vita. Se accadesse, non sapremmo più che cosa è autoctono e cosa è stato introdotto dall'uomo.
Lampade letali. Ma un esperimento dell'Ames Research Center della Nasa a Mountain View, in California, pubblicato su Astrobiology, sembra poter rassicurare gli addetti ai lavori: 8 ore di esposizione diretta ai raggi UV riescono a cuocere e decimare anche i più resistenti tra i ceppi batterici.
Highlander. I ricercatori si sono concentrati su una forma particolarmente dura a morire di Bacillus pumilus, un microbo che sopravvive anche nei più sterili laboratori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, dove sono assemblati i rover marziani.
Sola andata. Il batterio ha resistito per 18 mesi all'esterno della ISS, e reagisce ai detergenti aggressivi come a una doccia d'acqua fresca. Gli scienziati ne hanno raccolto decine di milioni di spore (ben più delle 56 mila che secondo alcune stime potrebbero aver viaggiato su Curiosity) e le hanno spedite nella stratosfera terrestre, sollevandole con un pallone aerostatico fino a 31 km di quota.
Sospiro di sollievo. L'ambiente asciutto, povero di nutrienti, rarefatto e irradiato di ultravioletti della stratosfera ricorda quello dell'atmosfera marziana. Dopo 8 ore lassù, rimanevano poco più di 100 mila spore ancora vive. Quanto basta per ritenere che, non sempre consapevolmente, stiamo facendo di tutto per proteggere Marte da contaminazioni.