Juno, la sonda della NASA in orbita attorno a Giove dal luglio del 2016, è riuscita, con i suoi strumenti, a “perforare” la superficie del grande pianeta così da “osservare” quello che fino ad oggi non era mai riuscito ad altre sonde né ai telescopi spaziali o terrestri: lo sguardo a distanza della sonda è penetrato a molte migliaia di chilometri sotto alla superficie delle nuvole. I primi risultati degli studi sui dati sono stati presentati al convegno dell’American Astronomical Society's Division for Planetary Sciences (15-20 ottobre 2017, Provo, Usa).
Un nucleo sfuocato. Un primo elemento sorprendente riguarda il nucleo del pianeta gassoso, che sembra essere molto piccolo e mal definito nei suoi confini, rispetto a quanto si pensava fino ad oggi. Come altri pianeti giganti e come tutti i pianeti terrestri si ipotizza che anche Giove abbia un nucleo di ferro e silicati, ma quanto sia grande e come confini con lo strato superiore composto da idrogeno, resta ancora un mistero da risolvere - salvo per il fatto che adesso sappiamo che questo confine è alquanto nebuloso.


Il campo gravitazionale. C’è poi una caratteristica strana che riguarda il campo gravitazionale di Giove, che non risulta omogeneo in tutte le sue parti. Secondo Tristan Guillot (Osservatorio della Costa Azzurra, Nizza, Francia), ciò sarebbe dovuto al fatto che l’idrogeno gassoso del pianeta fluisce dalle profondità verso la superficie in modo asimmetrico. «È un fatto imprevisto», spiega l’astronomo, «che però darebbe un senso alla disomogeneità del campo gravitazionale.»
Un’altra domanda per i ricercatori riguarda la velocità di rotazione del pianeta: è omogenea dalla superficie fino al nucleo oppure varia con la profondità? Alcune risposte adesso ci sono.


Studiando il modo con il quale si manifesta la forza di gravità si è potuto stabilire che il materiale che compone il pianeta ruota più velocemente a circa 3.000 chilometri di profondità, sotto alla superficie dell'atmosfera. Ora la questione è quanto sia veloce tale flusso di materiale e se i gas che compongono Giove formino in realtà una specie di "matrioske", dove ogni livello si differenzia dagli altri per la velocità di rotazione.
Gli scienziati stanno ora analizzando i valori di gravità registrati dalla sonda Juno, che li useranno anche per cercare di calcolare lo spessore della Grande Macchia Rossa, che in base ad alcuni dati sembra avere radici centinaia di chilometri più in basso, e forse anche più. Oltre a questo, e sempre in relazione alla composizione del pianeta, nei dati di Juno gli scienziati cercano risposte ad altri fenomeni misteriosi, come la non uniformità del campo magnetico di Giove.


Ottagoni e pentagoni. Un altro elemento curioso sono i cicloni osservati ai poli del pianeta, che sembrano danzare attorno a un centro invisibile. Prima di questa missione nessuno sospettava l'esistenza di questi fenomeni, perché non si erano mai potuti osservare i poli del pianeta, mentre Juno - nella sua orbita di 53 giorni - ha una traiettoria che l'ha portata a sorvolarli.
Attorno al "polo nord" vi sono 8 cicloni, mentre al polo opposto ce ne sono cinque. Il mistero sta nel fatto che secondo i nostri modelli dell’atmosfera di Giove non potrebbero persistere più di tanto, perché non vi sarebbero le condizioni per alimentarli... Invece sono lì e sembra che nulla li possa dissolvere.

«È possibile che si possa trovare una spiegazione in un complesso fenomeno noto come Vortex Crystal», spiega Fachreddin Tabataba-Vakili, scienziato planetario del JPL. «Seppure raramente, alcuni cristalli si formano durante un fenomeno terrestre che vede implicati superfluidi rotanti, ossia privi di attriti. Nascono cioè quando piccoli vortici si formano e permangono mentre il materiale in cui sono immersi continua a fluire.» È possibile che qualcosa del genere accada anche nelle regioni polari di Giove e che sia all’origine dei cicloni. Certo, resta anche da capire perché da una parte otto e dall'altra cinque...
Radici profonde. Le bande orizzontali sono la caratteristica più nota del grande pianeta: sono frutto di risalita e discesa di materiale dall’atmosfera verso la superficie gassosa del pianeta, e di venti in quota molto forti. Fino ad oggi non si sapeva se tali bande sono confinate a un livello molto superficiale o se invece interessano anche l’atmosfera profonda del pianeta. Spiega Yohai Kaspi (Weizmann Insititute of Science, Israele) che «questa era proprio una delle domande a cui volevamo dare una risposta: ci sono ancora molti dati da analizzare, ma al momento sembra prevalere la seconda ipotesi».