Spazio

I computer che hanno portato l'uomo sulla Luna

Dall'Apollo Guidance Computer ai sistemi IBM, ecco i calcolatori che hanno reso possibile la straordinaria impresa dell'Apollo 11.

L'uomo ha conquistato la Luna, 356mila chilometri di andata e altrettanti di ritorno nello spazio con una potenza di calcolo infinitamente inferiore a quella di uno smartphone.

È un'immagine ricorrente che contiene elementi di verità, se ci limitiamo a un semplice paragone di numeri, ma si tratta anche di un cliché fuorviante. La tecnologia adottata dalla Nasa per un'impresa che sembrava impossibile era allora la più avanzata del mondo. Ancora oggi i computer che portarono l'equipaggio della missione Apollo 11 sulla Luna e lo ripartono poi a casa sano e salvo restano fra i più efficienti e brillanti mai progettati.

Alla guida della navicella era l'Apollo Guidance Computer, o AGC, sviluppato dal MIT e assemblato da Raytheon; tutti gli altri sistemi per la gestione del vettore (il razzo Saturn V), le comunicazioni e le complesse operazioni a Terra furono sviluppati da IBM.

L'Apollo Guidance Computer. L'AGC aveva il compito di gestire tutte le operazioni di navigazione, guida e controllo nello spazio. Una unità era installata sul Modulo di Comando e Servizio (Command/Service Module - CSM), una seconda invece sul Modulo Lunare (Apollo Lunar Module - LEM o LM). Rispetto agli enormi calcolatori dell'epoca, grandi come frigoriferi, aveva una taglia ridotta: 61 centimetri di profondità, 32 di larghezza e 17 di altezza, per un peso di 32 kg. Al suo interno ospitava 2800 circuiti integrati, dispositivi allora di recente invenzione (siamo nel '69, i primi risalivano al 1959): era uno dei primi computer basato su questa tecnologia e il primo "integrato" in assoluto. Nei primi anni Sessanta la Nasa assorbiva oltre la metà dell'intera produzione di circuiti integrati americana.

152 kByte complessivi di memoria a bordo - tra ROM e RAM - e la frequenza di calcolo da 0,043 a 2 MHz nei vari sottosistemi sembrano oggi risibili, eppure l'AGC era in grado di coordinare il flusso di dati proveniente dal sistema di navigazione giroscopico, dal telescopio e da due radar, e forniva agli astronauti il controllo sui motori e su tutte le operazioni di bordo. Il computer eseguiva diversi programmi dando loro un ordine di priorità - i più urgenti prima, gli altri in coda - ed era progettato per non bloccarsi nemmeno nel caso si verificasse un errore.

L'interfaccia. Una delle novità più rilevanti, che avrebbe poi portato conseguenze anche al di fuori del mondo dell'esplorazione spaziale, era costituito dall'interfaccia. I piloti non erano tecnici informatici specializzati e non avevano le competenze specifiche allora richieste per interagire con un computer, e quindi avevano bisogno di poter dialogare con la macchina in modo immediato e comprensibile.

Fu così sviluppata un'interfaccia chiamata DSKY (da "display and keyboard"), la prima del suo genere. Era composta da una semplice tastiera numerica, da un piccolo display e da vari indicatori luminosi: inserendo delle coppie di semplici codici numerici, gli astronauti indicavano all'AGC quale programma avviare o quale operazione compiere. Era una rivoluzione nel modo di concepire il rapporto fra computer ed esseri umani.

IBM dietro le quinte. Se l'AGC conserva ancora oggi gli onori della cronaca, non fu certo l'unico sistema elettronico a sobbarcarsi l'enorme mole di calcoli richiesti per la missione. Per sviluppare i software necessari alla navigazione e alla comunicazione e per costruire i computer che gestivano le operazioni sulla Terra, IBM mise in campo un team di quattromila persone: senza questo dispiegamento di forze e senza le competenze di Big Blue la conquista della Luna sarebbe rimasta un miraggio.

Furono i tecnici e gli ingegneri IBM di stanza al George Marshall Space Flight Center di Huntsville, in Alabama, a realizzare l'unità di guida alloggiata all'interno del razzo Saturn, e fu sempre il personale IBM a effettuare i test finali e a coadiuvare il lancio del razzo a Cape Kennedy (oggi Cape Canaveral). E al Goddard Space Flight Center, vicino a Washington, svilupparono la complessa rete di tracciamento composta da 17 stazioni a terra e quatto navi, che seguivano il velivolo spaziale in orbita permettendo le comunicazioni fra la Terra e gli astronauti.

Una lunga collaborazione. Al momento di lanciare l'uomo verso la Luna, Nasa e IBM avevano già fatto molta strada insieme. IBM si occupava di tecnologia missilistica per conto dell'esercito americano già dagli anni Quaranta e aveva fornito i suoi sistemi di guida alla Nasa per i programmi Gemini e Mercury, i primi con equipaggio umano.

Il team di Wernher Von Braun la coinvolse quindi nello sviluppo del razzo Saturn: IBM adattò i computer dei missili Titan per renderli idonei ai lanci spaziali, convinse la Nasa e vinse il contratto per progettare il sistema di guida (IU) dei Saturn. Realizzò 27 unità IU, lunghe poco meno di un metro, che vennero montate nel terzo stadio dei razzi dimostrandosi affidabili anche in situazioni estreme: il Saturn V della missione Apollo 12 fu colpito due volte da un fulmine in volo, ma, mentre i sistemi di comunicazione andarono in tilt, la IU continuò a funzionare mantenendo la rotta.

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Il momento decisivo. IBM giocò un ruolo fondamentale anche nei minuti decisivi per l'allunaggio.

Al Mission Control del Manned Spacecraft Center (oggi Johnson Space Center) di Houston erano installati cinque computer System/360 Model 75, che monitoravano e calcolavano tutti i dati relativi al volo dell'Apollo 11; la traiettoria di rientro in orbita, che richiedeva una precisione assoluta, fu ricalcolata 400 volte durante la missione.

È stato lo stesso Gene Kranz, direttore di volo per la missione, a ricordare il momento più iconico della storia dell'uomo nello spazio, quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin staccarono il Modulo Lunare dal Modulo di Comando per scendere sul nostro satellite: «Il sistema informatico che utilizzavamo per tutte le decisioni di via libera fu sviluppato da IBM, e la decisione definitiva quel giorno mi fu fornita dai computer controllati dagli ingegneri di IBM che lavoravano con me al Mission Control Center. Senza IBM e il loro sistema non saremmo mai atterrati sulla Luna».

29 settembre 2015 filippo ferrari
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