La scoperta di gas fosfina nelle alte nubi di Venere, un possibile segnale della presenza di forme primordiali di vita (o più probabilmente di un processo non biologico ancora sconosciuto) è messa in dubbio in tre nuove analisi scientifiche indipendenti in fase di pubblicazione.
La prima è andata a ricercare tracce del composto chimico in una serie di osservazioni d'archivio all'infrarosso dell'atmosfera venusiana, senza però ritrovarle.
Gli altri due lavori hanno rianalizzato i dati dello studio originale, pubblicato su Nature Astronomy, che annunciava l'individuazione del gas: anche queste due ricerche non hanno trovato prove convincenti della presenza di fosfina sul pianeta. Questi risultati non sono sorprendenti e anzi, mostrano con chiarezza il confronto e le successive correzioni alla base di ogni importante scoperta scientifica.
che cos'è successo, dall'inizio. Sulla Terra, la fosfina (PH3) è un gas prodotto prevalentemente da organismi biologici anaerobici (batteri che non richiedono la presenza di ossigeno per il proprio metabolismo) nonché da processi industriali. La fosfina si degrada molto rapidamente e le ostili condizioni di Venere - un pianeta ricoperto di spesse nuvole a base di anidride solforosa e acido solforico, con un'atmosfera formata per il 96% di anidride carbonica e una pressione atmosferica elevatissima - dovrebbe farla sparire in modo assai efficiente: l'ipotesi dello studio originale è che debba esserci un processo non ancora conosciuto in grado di produrre il gas a ciclo continuo.
tornare sui propri passi. Se come sembra, su Venere ci fosse davvero una concentrazione di fosfina mille volte più alta rispetto alla Terra, la sua presenza non sarebbe spiegabile se non attraverso meccanismi biologici, o fenomeni geologici o chimici non ancora conosciuti. Davanti a ricerche dal potenziale rivoluzionario come questa, la prima cosa da fare è provare a replicare i dati: individuare un segnale debole e ambiguo come quello di una molecola specifica su un altro pianeta è infatti un'operazione complessa, che ha bisogno di conferme.
Così un altro team di scienziati guidato da Therese Encrenaz dell'Osservatorio di Parigi, e che comprende anche Jane Greaves e Clara Sousa-Silva, che hanno firmato lo studio originale, ha dato un'occhiata ai dati di archivio su Venere raccolti da un telescopio non usato per le osservazioni iniziali, l'Infrared Telescope Facility della NASA alle Hawaii.
In queste rilevazioni che risalgono al 2015 non si trova un segnale forte di fosfina: secondo lo studio il limite più alto del gas nell'atmosfera di Venere è pari a un quarto di quello individuato nello studio originale, e in base alle osservazioni all'infrarosso questo gas dovrebbe trovarsi sopra alle nuvole di Venere (ipotesi improbabile perché lì sparirebbe molto velocemente).
Possibili spiegazioni. L'assenza di nuove prove non è una smentita del lavoro iniziale ma piuttosto un'indicazione di una situazione complessa. Secondo Sousa-Silva, la quantità di fosfina potrebbe variare nel tempo, oppure gli strumenti potrebbero non aver indagato abbastanza in profondità nelle nubi di Venere per trovarne in dosi elevate. «Credo al lavoro di Encrenaz» ha spiegato Sousa-Silva al National Geographic «e quindi non c'è fosfina - in quel punto. Ma dove si trova quel punto? A quale altitudine stiamo guardando?».
Un problema di interpretazione dei dati. Gli altri due lavori hanno invece cercato di rielaborare i dati originali dello studio, rivedendo le osservazioni dei telescopi James Clerk Maxwell Telescope e ALMA e per capire se il segnale riconducibile alla fosfina sia stato estratto correttamente dal "rumore" di fondo tipico delle rilevazioni di questo tipo.
Un primo studio indica che il James Clerk Maxwell Telescope ha individuato un segnale alla giusta frequenza, ma che quella stessa linea spettrale potrebbe essere riconducibile all'anidride solforosa, abbondante nell'atmosfera di Venere.
Un altro studio ha riconsiderato i dati di ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) una rete di radiotelescopi che produce osservazioni ad altissima risoluzione ma che proprio per la sua sensibilità cattura anche moltissimo "rumore" di fondo, soprattutto da oggetti brillanti e vicini come Venere. I ricercatori dello studio originale hanno usato una tecnica chiamata adattamento polinomiale per cercare di liberarsi da questi segnali non utili, ma questo trattamento dei dati potrebbe aver prodotto artificialmente un falso segnale di fosfina. Lo stesso ALMA ha riscontrato di recente un errore nella calibrazione dei dati usati nelle osservazioni, che potrebbero rendere le conclusioni sulla fosfina poco affidabili.