Un enigmatico Fast radio burst (FRB, lampo radio veloce), della durata di qualche millesimo di secondo, è stato individuato grazie al telescopio di Parkes in Australia pochi secondi dopo la sua apparizione, nel 2014. La rilevazione ha dato immediatamente avvio a una serie di osservazioni nel tentativo di trovare una spiegazione all'origine del fenomeno.
Dalla loro scoperta, nel 2007, nessuno era mai riuscito a osservarne uno "in diretta", ovvero nel momento in cui si manifesta. Questo perché i cosiddetti lampi radio veloci sono brevissimi - la loro durata è di appena qualche millesimo di secondo - e possono presentarsi senza alcun preavviso praticamente in qualunque punto della volta celeste. Ora però un team internazionale di astronomi, tra cui Andrea Possenti, dell'INAF, ha osservato uno di questi lampi radio nel momento del suo arrivo a terra, captandolo con il radiotelescopio australiano da 64 metri di diametro di Parkes, appartenente al Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO).
«Questi eventi erano di solito scoperti settimane o mesi dopo la loro comparsa. Noi siamo i primi ad averne osservato uno in tempo reale», afferma Emily Petroff, prima autrice dell'articolo pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Grazie a questa osservazione, appena pochi secondi dopo l'evento, avvenuto il 14 maggio del 2014 e denominato FRB140514, il team ha subito attivato una serie di osservazioni con altri strumenti - dalle onde radio ai raggi X - puntati il più rapidamente possibile in direzione della regione di cielo del lampo radio.
Dodici telescopi, in Australia, California, Isole Canarie, Germania, Hawaii e nello spazio, tutti uniti per cercare di indagare l'origine di questi enigmatici ed imprevedibili segnali.
Risposte sfuggenti. L'analisi dei dati non ha portato ai risultati attesi, ma - spiega Andrea Possenti, direttore dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, «permette di cominciare a escludere qualche ipotesi, come quella che i lampi siano associati a normali eventi di Supernova che hanno luogo nell'Universo vicino a noi».
Altrettanto difficile è calcolare la distanza percorsa dai segnali. L'analisi delle proprietà di quello osservato in questa occasione, basata sulla registrazione di tempi di arrivo leggermente diversi al variare della lunghezza d'onda di osservazione, indica che la sorgente doveva trovarsi fino a 5,5 miliardi di anni luce da noi. «Dai calcoli», spiega Daniele Malesani, astronomo italiano presso l'Università di Copenhagen, che ha partecipato alla campagna di osservazioni successiva alla scoperta, «si può stimare che in pochi millesimi di secondo quella sorgente ha liberato tanta energia quanta quella che il nostro sole irraggia in un giorno intero».
Per dare nuove risposte al fenomeno sarà dunque necessario attendere che se ne verifichi un altro, per concentrare nuovamente lì gli strumenti di osservazione.