Spazio

Le prime immagini dal suolo lunare

Era il 1966 quando l’Unione Sovietica riuscì a far allunare la sonda Luna 9. Scattò le prime imamgini della Luna direttamente dal suolo lunare.

In questi giorni ricorre il cinquantesimo anniversario di una tappa fondamentale di quella che veniva chiamata un tempo "la conquista dello Spazio": far scendere una navicella sulla Luna in modo dolce e controllato.

In questa gara tra Stati Uniti e Unione Sovietica questi ultimi erano in vantaggio, senza dubbio. I sovietici erano riusciti a lanciare il primo satellite artificiale, inviare in orbita il primo essere vivente, poi il primo uomo e in seguito la prima donna. A quel punto rimanevano due obiettivi principali: essere i primi a far atterrare sulla Luna una sonda in grado di catturare le prime immagini della superficie; e far arrivare e riportare a casa sani e salvi i primi uomini.

PRIMO OBIETTIVO ALL’URSS. Ancora una volta il primo dei due obiettivi se lo aggiudicò l’Unione Sovietica. Era il 31 gennaio del 1966 quando un razzo Molniya-M partì dal cosmodromo di Baikonur con la sonda Luna 9.

Era il dodicesimo tentativo sovietico di far atterrare un lander sulla Luna.

La sonda pesava 99 chilogrammi e comprendeva una capsula a tenuta ermetica al cui interno c'erano vari strumenti di rilevazione e un sistema per scattare e trasmettere le immagini a Terra. Il tutto era avvolto da due air-bag che avrebbero protetto la sonda durante l’atterraggio lunare (previsto a una velocità di 22 km/h), una tecnica usata poi dalla Nasa per far atterrare alcuni rover su Marte.

La sonda Luna 9 (la palla scura) e la sonda madre che la portò fino a 5 metri dal suolo lunare © Roskosmos

Anche la forma della sonda (a guscio di ghianda con il baricentro spostato verso il basso) era stato pensato in funzione di questo metodo di atterraggio incontrollato: una volta sulla Luna, il modulo rotolava naturalemte nell'assetto desiderato: con il periscopio e le antenne rivolte verso l'alto.

Il viaggio fu perfetto (vedi la ricostruzione video qui sotto) e altrettanto l’allunaggio che avvenne nell’Oceanus Procellarum il 3 febbraio. La sonda madre arrivò fino a 5 metri dal suolo lunare e lì espulse la palla d’acciaio che conteneva la strumentazione. Dopo aver rimbalzato più volte sulla superficie ed essersi liberata dagli air-bag si aprirono 4 petali che misero gli strumenti di bordo in condizioni di lavorare.

Gli Inglesi "rubarono" le foto. Fu così che per la prima volta l’uomo ebbe a disposizione delle immagini del suolo della Luna riprese direttamente in loco. Il panorama si spingeva fino a un chilometro e mezzo dalla sonda. Vari crateri di piccole dimensioni costellavano le fotografie e un piccolo masso si poteva osservare in prossimità di Luna 9.

Le immagini però non furono pubblicate immediatamente dall’Unione Sovietica, ma finiro lo stesso sui giornali occidentali.

I sovietici, infatti, per la trasmissione delle foto dalla Luna alla Terra utilizzarono un sistema analogo a quello utilizzato dai giornali per la teletrasmissione delle foto. Gli inglesi che avevano intuito questo retroscena catturarono le immagini che vennero pubblciate dal Daily Express qualche giorno dopo.

La sonda Luna 9. I 4 fili a piombo appesi alle antenne e visibili alla telecamera erano una geniale soluzione per indicare nelle fotografie qual è la verticale locale. Per la macchina fotografica i sovietici presero spunto dai sottomarini: la macchina, pesante e stabile, era all'interno della sonda ed era puntata su uno specchio che sporgeva dalla sommità e ruotava, come un periscopio. © Roskosmos

La strada per portare il primo sovietico sulla Luna era aperta, ma gli Stati Uniti riuscirono in soli 3 anni a recuperare il divario e, dopo aver anch’essi fatto scendere due lander, Surveyor 1 e 3, furono i primi (e al momento gli unici) a portare un uomo sulla Luna. Era il 1969.

Il Surveyor 3, lander americano, venne visitato dagli astronauti di Apollo 12. Questo lander diede alla Nasa la conferma che il suolo lunare poteva sostenere il peso degli astronauti e del modulo lunare. © Nasa
4 febbraio 2016 Luigi Bignami
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